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 2010  novembre 19 Venerdì calendario

QUEI MERCATI PRONTI A SFRUTTARE L’INSTABILITÀ - A

volte sembra che sia una mano diabolica a disegnare il calendario di certe vicende che non dovrebbero mai incrociarsi. Non dovrebbero, ma lo fanno. Mentre il governo in Italia iniziava a scricchiolare, le banche e i conti dell’Irlanda cedevano progressivamente sotto il peso dell’insolvenza. Mentre la Germania ci metteva del proprio impaurendo gli investitori privati dell’area-euro, la legge finanziaria a Roma entrava nella fase decisiva. E quando Camera e Senato voteranno la fiducia all’esecutivo di Silvio Berlusconi, l’Europa sarà negli ultimi momenti di una tappa vitale: la riscrittura delle regole di governo dell’euro, nella sua fase più delicata dall’esordio dodici anni fa. Gli scherzi del calendario (salvo ritocchi) fanno sì che il premier potrebbe andare a Bruxelles per quel negoziato di metà dicembre da dimissionario. Per allora le fibrillazioni che scuotono il sistema della moneta unica potrebbero essersi calmate. Oppure no. L’Italia tra tre settimane può entrare in una crisi di governo, che secondo alcuni può essere un cambio d’epoca, mentre anche l a moneta nella quale il Paese si finanzia ogni giorno vive la sua prova della verità.
Opportuno allora cercare di tracciare bene queste navigazioni parallele, sperando che restino tali: senza collisioni. Il punto di partenza, è che oggi stiamo meglio di ieri o piuttosto meglio di venerdì. Alla fine della settimana scorsa, in un punto acuto delle convulsioni attorno all’Irlanda, il premio di rischio dei Btp italiani a dieci anni rispetto agli omologhi Bund tedeschi era arrivato al 1,91%. Il massimo da quando esiste la moneta unica. Da allora questo «spread» si è ristretto e ieri ha fluttuato poco sopra l’1,60%. Anche i derivati che funzionano come un’assicurazione sulla vita (finanziaria) dell’Italia, i vituperati «credit default swap», ieri hanno limato i loro premi. Assicurare l’Italia dalla bancarotta ieri costava un po’ meno di mercoledì.
Ma il recente contenimento della deriva non può anestetizzarci al punto da dimenticare la nuova, spiacevole realtà. Quando la Grecia era scivolata malamente in primavera, l’Italia aveva tenuto sui mercati (quasi) alla perfezione. Quando l’Irlanda è precipitata in autunno, gli investitori hanno iniziato a uscire — in punta di piedi — dai titoli di una Repubblica indebitata per oltre 1.800 miliardi di euro. I tecnici dicono che abbiamo «allargato», ci siamo allontanati dall’area sicura la cui ancora è il Bund. Il contagio non è qui, ma neanche troppo lontano da qui.
E il margine di errore per le classi politiche, in Europa e in Italia, ormai è inesistente: basta guardare al tracciato dell’area-euro nelle prossime tre settimane per rendersene conto. L’Irlanda entro pochi giorni sarà nelle mani dei suoi «salvatori» dell’Ue e dell’Fmi. Il Portogallo rischia di seguire a stretto giro, anche se oggi nega. A quel punto tre Paesi «troppo grandi per poter fallire» saranno sottoposti a una terapia da circa 300 miliardi di euro e resteranno sulle loro gambe solo Paesi «troppo grandi per poter essere salvati». Sono quelli che a nessun costo devono mettersi in condizioni di aver bisogno di soccorso. In queste ore il governo di José Luis Zapatero a Madrid è sotto pressione da tutta Europa perché chiuda in fretta e con decisione sulla riforma pensioni. Agli italiani invece non c’è neanche bisogno di dire alcunché: sanno da soli gli scherzi che possono permettersi e quelli proibiti. O almeno si spera.
Federico Fubini