Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 19/11/2010, 19 novembre 2010
IL RISO SCOTTI ALL’ASSALTO DEI SOLDI PUBBLICI DELL’ENERGIA
Possibile che un ente di Stato paghi per anni milioni e milioni di euro a una grande azienda privata senza che questa ne abbia diritto? Peggio, che questi contributi pubblici siano ottenuti in cambio di un’attività potenzialmente dannosa per l’ambiente e la salute pubblica? E che, ancora, l’ente in questione non si accorga di nulla prendendo per buoni vecchi documenti senza verificare direttamente come stanno le cose? Ebbene sì, nel mondo fatato dell’energia made in Italy tutto questo è accaduto davvero. Lo sostiene la Procura della Repubblica di Pavia che due giorni fa ha chiuso la prima parte di un’inchiesta giudiziaria che ha portato all’arresto di sette persone tra cui 3 top manager della Riso Scotti. Secondo l’accusa, tra il 2005 e il 2009 il Gse, cioè il Gestore dei servizi elettrici, a controllo statale, ha indebitamente versato almeno 21 milioni di euro nelle casse dell’azienda di Pavia famosa per le sue martellanti campagne di spot con il tormentone del “dottor Scotti”. I finanziamenti pubblici sono stati erogati sulla base della legge cosiddetta Cip6 del 1992.
Quel tesoro
della lolla
FUNZIONA COSÌ: l’azienda produce energia da fonti definite rinnovabili o assimilate e lo Stato compra pagando un prezzo maggiorato. Ebbene, dieci anni fa la Scotti ha costruito un inceneritore per produrre elettricità bruciando lo scarto di lavorazione del riso, cioè la lolla, che rientra nella categoria delle fonti assimilate a quelle rinnovabili. La prima convenzione con il Gse, che allora si chiamava Grtn, risale al 2002. Da allora, secondo quanto risulta al Fatto quotidiano, il gruppo alimentare guidato da Angelo Dario Scotti ha ricevuto oltre 60 milioni di euro come finanziamento pubblico Cip6. Secondoleaccusedeimagistrati,però, almeno un terzo di quei soldi sono stati incassati dall’azienda senza averne diritto. Motivo?Semplice,conl’andar del tempo la lolla, cioè il rifiuto biologico e autorizzato, è stato sostituito da spazzatura ben diversa, che in alcuni casi conteneva sostanze tossiche in misura ben superiore ai limitifissatidalleautorizzazioni rilasciate alla Scotti dalla provincia di Pavia e dalla regione Lombardia.
A un certo punto, secondo i calcoli dei tecnici del Corpo Forestale, l’inceneritore ha finito per essere alimentato da una miscela composta per il 70 per cento da plastiche, un altro 20 per cento di legnami e solo per il 10 per cento da lolla . Insomma, addio fonti rinnovabili (e assimilate). Quindi lo Stato non avrebbe dovuto pagare, dicono adesso i magistrati. Anche perchè (rifiuti a parte) l’azienda pavese non avrebberispettatounaseriedi vincoli tecnici a suo tempo prescritti dal gestore della rete. Da qui l’accusa di truffa allo Stato formulata nei confronti di tre manager arrestati mercoledì, tra cui il presidente della Scotti energia, Giorgio Radice.
Così, se verranno confermate leaccuse,l’aziendapavesepotrebbe essere costretta a restituire gli incentivi pubblici incassati indebitamente. Tutto questo grazie all’intervento della magistratura. E che cosa ha fatto nel frattempo il Gse, ovvero l’ente chiamato a vigilare , tra l’altro, sul rispetto di regole e autorizzazioni da parte delle aziende che ricevono i soldi del Cip6? Risposta: il Gse in pratica non si è mosso fino al 14 maggio del 2009, quindi quasi sette anni dopo la prima convenzione siglata con la società di Pavia. Quel giorno una squadra di tecnici ha bussato alla porta della Scotti energia per quella che viene definita una “verifica ispettiva”.
La denuncia (inutile)
degli ispettori
GLI INVIATI del Gse non possono fare a meno di rilevare che l’inceneritore viene alimentato con una miscela di rifiuti diversa dalla semplice lolla. Non solo. Anche le caratteristiche dell’impianto, come emerge dalla verifica tecnica, non corrispondono a quelle fissate al momento della primaconvenzionedel2002,poi modificata, ma solo in piccola parte, nel 2004. L’impianto differisce “in maniera sostanziale”, recita testualmente il rapporto ispettivo. Riassumendo: i rifiuti sono fuori norma. E anche l’inceneritore.
I dirigenti della Scotti ovviamente protestano. Nel corso di numerosi incontri il presidente Radice e i suoi collaboratori respingono le conclusioni degli ispettori del Gse. Niente da fare. “Si dichiara conclusa l’attività di verifica e sopralluogo con esito negativo”, si legge nelle carte ufficiali. Fermi tutti, allora. L’ente pubblico blocca l’inceneritore e chiede all’azienda la restituzione del maltolto, cioè quei 21 milioni di incentivi indebitamente incassati. E invece no. Passano sette mesi e il Gse fa marcia indietro. Con una comunicazione datata 10 dicembre 2009 l’esito della verifica ispettiva viene ribaltato. Da negativo diventa positivo. Non è dato sapere per quale motivo i controllori abbiano cambiato idea tra maggio e dicembre.
Sta di fatto che i contributi pubblicivengonoconfermati. Adesso però i magistrati sono convinti che quei soldi sono il frutta di una gigantesca truffa ai danni dello Stato. Sarà il processo a stabilire se la procura ha ragione. Nel frattempo però la Scotti energia è riuscita a portare a termine l’ennesimo trionfale bilancio della sua storia. Il 2009 si è chiuso con 2,3 milioni di utili su 12,7 milioni di ricavi. Quasi 20 euro di profitti ogni 100 di incassi. Un risultato eccezionale. Grazie alla monnezza. E ai soldi di Stato.