GLAUCO MAGGI, La Stampa 19/11/2010, pagina 19, 19 novembre 2010
Guantanamo, assolto da 285 capi d’accusa - Ahmed Khalfan Ghailani, il primo detenuto di Guantanamo giudicato in un processo civile, è stato assolto da 285 dei 286 capi d’accusa a suo carico da una Corte federale di New York
Guantanamo, assolto da 285 capi d’accusa - Ahmed Khalfan Ghailani, il primo detenuto di Guantanamo giudicato in un processo civile, è stato assolto da 285 dei 286 capi d’accusa a suo carico da una Corte federale di New York. Catturato dai pakistani nel 2004 e detenuto a Cuba fino al 2009, non è stato ritenuto colpevole di diretto coinvolgimento negli attentati contro le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania del 1998, dove morirono 224 persone, tra cui 12 americani. L’unico reato riconosciuto dai 12 giurati è la «cospirazione» per danneggiare «proprietà» degli Stati Uniti: il verdetto, che è in calendario per gennaio, prevede da un minimo di 20 anni all’ergastolo. Dura la reazione del deputato repubblicano Peter King, secondo il quale «questa sentenza è un brusco richiamo all’amministrazione Obama perché abbandoni il suo progetto malato di far processare i terroristi, detenuti a Guantanamo, da giudici civili. Dobbiamo trattarli come nemici in tempo di guerra e processarli davanti a corti militari direttamente a Guantanamo». King, prossimo presidente della commissione per la Sicurezza interna nella nuova Camera a controllo repubblicano, avrà il potere di stoppare altri trasferimenti a corti civili negli Usa. Ma è probabile che dopo il caso Ghailani lo stesso ministro della Giustizia Eric Holder, che aveva annunciato un anno fa il processo civile a New York al «cervello» dell’11 settembre Khalid Shaikh Mohammed, decida di rinunciare. L’esito di questo processo-test sarà con tutta probabilità la cancellazione dei processi civili per i sospetti terroristi, perché prove o confessioni ottenute dalla Cia non sono legalmente valide nelle corti federali. Ghailani, 36 anni, cittadino tanzaniano nato a Zanzibar, era accusato di essere tra gli esecutori materiali dell’attacco. E in effetti non ci sono dubbi che abbia attivamente partecipato e che sia stato un membro di Al Qaeda, cuoco e autista di Osama Bin Laden. Un rapporto dell’Fbi, riporta il «New York Times», dice che nel 2007 «parlò volontariamente per quattro giorni con l’Fbi e il ministero della Difesa, spiegando come fu coinvolto nella cospirazione e arrivò a capire i suoi scopi». Aiutò a comprare il camion e gli esplosivi, ma negò di essere stato subito informato dei veri piani. Il giorno prima dell’attentato, però, il suo contatto in Al Qaeda gli parlò di Ahmad, l’autista che avrebbe guidato il camion nella missione suicida. «Sarei stato un eroe e avrei salvato molte vite se avessi avvertito qualcuno», disse Ghailani agli agenti. Sapeva che Ahmad andava a morire per colpire l’ambasciata. Dopo la strage, pentito, «pensò di essere colpevole come gli altri. A questo punto pianse e disse che non avrebbe mai più parlato dell’episodio», conclude l’Fbi. Il problema per l’accusa è che questa confessione non poteva essere portata davanti alla giuria perché, hanno sostenuto i legali, ottenuta senza le garanzie di legge e la presenza di un avvocato. Per lo stesso motivo, il giudice Lewis Kaplan ha escluso un testimone decisivo, la persona che aveva dato l’esplosivo a Ghailani, il cui nome era venuto a galla nel corso di interrogatori con tecniche giudicate «tortura».