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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

«Noi, i poveri del calcio dorato» - Da Carrara a Massa ci sono appena 8 km di strada, ma c’è di mezzo il ma­re (le due Marina) e nella rete ci so­no finiti da un pezzo i due bomber “indige­ni” del calcio degli anni ’70-’80: il carrarino Marco Cacciatori, 54 anni e il massese Dan­te Bertoneri, 47 anni

«Noi, i poveri del calcio dorato» - Da Carrara a Massa ci sono appena 8 km di strada, ma c’è di mezzo il ma­re (le due Marina) e nella rete ci so­no finiti da un pezzo i due bomber “indige­ni” del calcio degli anni ’70-’80: il carrarino Marco Cacciatori, 54 anni e il massese Dan­te Bertoneri, 47 anni. Uniti da un triste, ma per niente insolito destino: quello dell’ex cal­ciatore professionista che dopo aver acca­rezzato la polvere di stelle, a fine carriera si è ritrovato nel fango del dio pallone. Marco e Dante non si sono mai incrociati nel derbyssi­mo Carrarese-Massese e co­sì si ritrovano da ex, dopo tanti anni e con qualche ca­pello in meno, a “sfidarsi” con le miserie e gli splendo­ri di una vita spesa per il cal­cio. Seduti ai tavoli di un Bar di Carrara bevono un caffè dolceamaro come i loro ri­cordi. «Avevo 23 anni – at­tacca Cacciatori – quando un’estate mi sono ritrovato dalla D alla Serie A, nel Perugia di Castagner. Un Perugia da re­cord, imbattuto - 30 partite su 30 - e il sotto­scritto che al debutto a San Siro segnò un gol all’Inter. Roba che quando ci ripenso mi vie­ne da piangere...». Ma le lacrime sarebbero ar­rivate purtroppo in quell’estate e non perché il Perugia lo aveva venduto come «pedina di scambio» per portare Paolo Rossi in Umbria, ma perché una volta passato al Vicenza sco­prì di avere un tumore ai testicoli. «Ero in ri­tiro quando mi diagnosticarono un “carci­noma embrionale”. Due operazioni e poi dal Vicenza passai al Genoa. Tornai in campo contro il Cesena e sentivo che avevo il fiato corto, il polmone destro era entrato in meta­stasi. Tre anni di chemioterapia, vissuti con il terrore di non farcela... Poi ne sono uscito fuori e ho giocato fino a 35 anni, ma quelle stagioni di stop sono andate in fumo. Quat­tro anni persi per la mia pensione da calcia­tore professionista dopo una carriera chiusa con 168 gol». Alcuni anni fa Avvenire si oc­cupò del “caso Cacciatori” sollecitando una campagna di sensibilizzazione, affinché qualche club si facesse cari­co di quei 4 anni di contri­buti mancanti. Il “Caceta”, così lo chiamano i tifosi, nel frattempo per mandare a­vanti la famiglia si era im­piegato come trasportatore alle cave di Carrara. «Alla fi­ne l’Enpals mi ha accordato 1.080 euro di pensione, ma 480 se ne vanno in contribu­ti volontari e poi c’è l’affitto della casa, 450 euro. Se non ci fossero i 400 euro - per sei mesi l’anno - che mi dà l’Ora­torio Don Bosco di Nazzano per allenare u­na squadra di ragazzi, io e mia moglie - di­soccupata - saremmo ridotti alla fame. So­pravviviamo con 500 euro al mese...». Dante scrolla la testa, conosce bene il peso di quel vivere sempre appeso al filo di un rasoio. Il suo presente è «precarissimo», quanto quello di Cacciatori e il passato di gloria, ormai lonta­no, lo ripercorre rapido, con il passo del po­dista «campione italiano over 40». Ultimo re­taggio del grande talento, il cursore del Tori­no primi anni ’80 che impressionò persino la Juve di Trapattoni. «Sergio Vatta diceva che e­ro il miglior giovane del Toro e infatti debut­tai in A a 17 anni. Dopo i primi articoli, con il mio nome a carattere cubitali sui giornali sportivi, pensavo di aver sfondato, ma nell’e­state dell’83 il ds Luciano Moggi con il suo solito modo autoritario mi fece: “Caro Dan­te: l’anno prossimo te ne vai a Cesena...”. Mi voleva spedire in B: alla fine rimasi in A, nel­l’Avellino, ma dopo un inizio convincente co­minciarono i problemi e me ne scappai a Massa... Di Somma venne a riprendermi pro­squadra, mettendo a mio padre che se mi avesse con­vinto a tornare ad Avellino gli avrebbero re­galato un Ape Piaggio... Mio padre è morto e quell’Ape non l’ha mai visto. Io ho comin­ciato a stare male e la situazione precipitò a fine stagione quando mi mandarono al Par­ma... ». Sospira Bertoneri, questo è il capito­lo più amaro: «Ero infortunato, menisco, ma Carmignani voleva che giocassi a tutti i co­sti. Avevo tanto di certificato medico, ma lui niente, insisteva: “Non fare storie su, in cam­po ci puoi andare...”. Io mi rifiutai e così dis­sero che mi ero reso colpevole di “insubor­dinazione”. Mi mandarono via e fui accusa­to di avere comportamenti inadeguati alla solo perché non volevo farmi le i­niezioni di Cortex o perché evitavo di pren­dere il Micoren. Avevo paura di quella roba là e poi stavo male sul serio. Mi venne dia­gnosticata una grave forma di esaurimento nervoso che non mi ha più abbandonato e ha segnato il successivo passaggio. Come Mar­co ho giocato nel Perugia, ma andò male e al­la fine sono venuto a chiudere alla Massese». Squadra che ha sempre amato e che dopo il fallimento di due anni fa avrebbe voluto ri­levare con un gruppo di appassionati. Alla fine ha messo in piedi una squadra di­lettantistica, l’Asd Massese, che porta avan­ti suo fratello Fabrizio. «Io non ho i mezzi per fare il presidente. Sono sei anni che busso o­vunque chiedendo un lavoro e trovo solo por­te chiuse. La settimana prossima comincio un corso per operatore familiare, sono disposto a fare anche il badante, l’importante è lavo­rare perché vorrei sposare Marilia. È la mia ra­gazza, l’ho conosciuta a un gruppo di pre­ghiera nella chiesa di San Sebastiano a Mas­sa. Solo lei e la fede mi dà la forza di resiste­re, altrimenti qui ogni giorno diventa sempre più dura. Dal Torino tante promesse, ma poi sono spariti tutti...». Cacciatori annuisce e poi sbotta: «Sono tre anni che sto a casa ... Il mondo del calcio una volta che hai smesso si dimentica di quello che hai fatto, specie per la squadra della tua città. Se Buffon e Lu­carelli mi chiamassero alla Carrarese, io sa­rei disposto a fare anche il custode dello sta­dio. Ma non chiama mai nessuno...». Marco e Dante si abbracciano e si salutano con una speranza: ritrovarsi al Bar a brindare con il primo stipendio di un lavoro. Sarebbe il gol più bello della loro vita.