Andrea Di Consoli, Il Riformista 18/11/2010, 18 novembre 2010
«È l’Europa che minaccia l’Italia unita» - Il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri, storico, biografo e intellettuale “irregolare” di origini senesi, è Il sangue del Sud (Mondadori, 297 pagine, 20 euro), ampia controstoria del Risorgimento dal punto di vista di chi – da meridionale – l’unità del Paese la rifiutò per vari motivi: perché filoborbonico, perché brigante, brigantessa o fuorilegge, oppure perché clericale
«È l’Europa che minaccia l’Italia unita» - Il nuovo libro di Giordano Bruno Guerri, storico, biografo e intellettuale “irregolare” di origini senesi, è Il sangue del Sud (Mondadori, 297 pagine, 20 euro), ampia controstoria del Risorgimento dal punto di vista di chi – da meridionale – l’unità del Paese la rifiutò per vari motivi: perché filoborbonico, perché brigante, brigantessa o fuorilegge, oppure perché clericale. Il libro di Guerri non è l’ennesimo pamphlet con attardate nostalgie neoborboniche o impeti populistici, ma, molto più seriamente, un racconto pro veritate affinché il quadro storico risorgimentale risulti chiaro in ogni sua vicenda, anche nel suo aspetto più feroce di guerra civile e di guerra d’occupazione. Abbiamo incontrato Giordano Bruno Guerri e gli abbiamo rivolto alcune domande sullo stato dell’unione italiana. Guerri, ma se i nordici tuonano contro l’Unità d’Italia, e se i meridionali incendiano il tricolore senza pensarci due volte, che bisogno c’era di unire gli italiani? C’è stata indubbiamente una forzatura, perché non solo le popolazioni del Sud non sentivano minimamente la necessità dell’Unità, ma anche le popolazioni del Nord erano restie a creare questo regno a dismisura, perché sotto Roma veniva considerato tutto Africa. Insomma, è stato un male unire l’Italia? Per me l’unità è stata un bene, nel senso che era storicamente giusta e necessaria, e ha fatto il bene del Paese e degli italiani. Se invece mi chiede se fosse stato meglio una forma di federalismo, cioè fare tre stati, teoricamente sarebbe stato molto meglio, ma politicamente era impensabile. L’unico modo per unire l’Italia era centralizzarne il potere, con tutto ciò che questo comporta. L’Unità d’Italia è stata decisa al Nord, mentre il Sud l’ha subita. Qual è quindi il ruolo del Sud in questo fondamentale processo storico? Il Sud ha dato un apporto di tipo passivo, perché prima di tutto è stato un grande mercato per le industrie del Nord. Il Sud ha poi dato manodopera e terre, perché le terre del Sud furono acquistate dai ricchi borghesi del Nord. Pure, il Sud ha dato il meglio della sua classe dirigente, che è tutta emigrata verso le capitali (prima Torino, poi Firenze, infine Milano e Roma). E, infine, ha dato molto danaro, perché i beni del regno di Napoli vennero saccheggiati dallo stato ex piemontese, che se ne impossessò per investirli tutti al Nord, soprattutto per appianare i debiti. Ricordiamoci sempre che il Regno delle due Sicilie era un regno pacifico, a differenza di quello sabaudo, che faceva una guerra dietro l’altra, indebitandosi non poco. Inizia con le ribellioni del Sud all’indomani dell’unità d’Italia la divisione del Paese che spesso è poi degenerata in “guerra civile”? In realtà non è l’inizio, ma è una tappa di questa guerra civile permanente che risale a Mario e Silla, ai guelfi e ghibellini, al Papato e all’Imperatore, eccetera. Quindi nel 1860 questa guerra civile permanente degli italiani si trasformò nel conflitto Nord-Sud, e sotterraneamente permane tuttora. Tanto più che questa guerra civile ha provocato diversi strascichi, cioè il brigantaggio sconfitto andò a rafforzare mafia, ‘ndrangheta e camorra, forme croniche di antistato, che sono ancora parte viva di questa guerra civile. Il Sud proprio non è riuscito a diventare protagonista dell’Unità d’Italia. Il morbo dell’antistato lo ha sempre divorato. La reazione del Sud all’annessione si sintetizza nel motto: «Ci avete voluto? E adesso teneteci!». Siccome i meridionali non sono scemi, alla fine sono saliti negli alti gradi della burocrazia, e quindi l’hanno in buona parte occupata, credendo non tanto nella costruzione dello Stato italiano, quanto in un potere personale. Anche l’opposizione allo spirito unitario si è sempre manifestata con movimenti spontaneisti, anarchici, viscerali, privi, in una parola, di coscienza di classe. Questa fu la debolezza del brigantaggio, perché in buona parte fu una forma di banditismo che quasi inconsapevolmente assunse un assetto politico. Se il brigantaggio fosse nato o vissuto come fenomeno politico, avrebbe sicuramente avuto effetti ben più devastanti. Il fatto che la maggior parte dei briganti fossero delinquenti ha tolto gran parte delle possibilità di riuscita del movimento, perché ovviamente non poteva godere della fiducia dei nobili e del clero. A centocinquanta anni dall’Unità, siamo a un punto di svolta? Nord e Sud sono davvero incompatibili? Sì, si pone un problema di incompatibilità, e per due motivi: il primo, per fenomeni dinamici di politica interna, e le faccio un esempio: quando l’altra sera ho visto a Ballarò il governatore siciliano Raffaele Lombardo che faceva dichiarazioni sudiste tenendo sulla scrivania in bella vista il mio libro, mi sono reso conto di come quest’ultimo possa essere usato male. Ma il mio vuole essere un libro di pacificazione, di memoria, e dovrebbe servire a tamponare le ferite, invece vedo che viene usato per riaprirle, le ferite. Il secondo motivo è il grande problema dell’Europa che, avendo creato un Superstato, favorisce le autonomie locali, spingendole fino alla rottura. Un Superstato non può amare al suo interno degli stati troppo potenti, e dunque si stanno creando in tutta Europa derive separatiste: in Spagna, in Belgio, e così via. Uno dei concetti che introduco in questo libro, e che per molti è il più difficile da digerire, è che l’Italia ha 150 anni, e non è affatto detto che ne compirà duecento. Sembra una cosa assurda, una bestemmia, ma sant’Iddio: è finito l’Impero romano e sono caduti i Faraoni, perché solo l’Italia dovrebbe durare in eterno? Eppure, fatta l’Italia, anche gli italiani hanno maturato un profondo sentimento di italianità. Questo è un dato incontrovertibile. Il progetto di fare gli italiani è riuscito, perché alla fine siamo comunque un popolo, e gli italiani si mischiano con piacere tra di loro. Infatti, secondo me, alla frantumazione non ci si arriverà per spinte autonomiste interne, ma è proprio questo Superstato europeo ad avere tutto l’interesse a che gli stati siano deboli e frantumati. La Lega Nord ci mette del suo in questa crescente frantumazione. La Lega è stato il fenomeno rivoluzionario più interessante della seconda metà del Novecento italiano, e ha posto dei problemi concreti. Talmente concreti, che alla fine tutti gli hanno dato ragione: dal federalismo alle autonomie locali. Io credo che sia evidente a tutti, a tutti quelli che pensano, che il fine ultimo della Lega sia il separatismo, e non per nobili motivi ideali, ma per motivi di pura cassa. Il Sud invece proprio non ci riesce a creare una Lega Sud uguale e contraria alla Lega Nord. Perché al Sud ci si rende conto che tutto sommato adesso, dopo aver versato lacrime e sangue, l’Italia giova non poco, cioè gli aiuti arrivano, eccome se arrivano. Che poi i soldi vengano rubati, dispersi e buttati, questo è un altro discorso. Adesso il Nord ammette di aver sbagliato a volere l’unità, che andava bene finché il Sud era forza-lavoro e mercato interno. Insomma, nel mentre celebriamo il centocinquantesimo anno dell’Unità, l’Italia rischia di separarsi per sempre. Si trattava di puntare all’Unità salvaguardando le identità. È lo stesso errore che sta facendo l’Europa oggi, che punta a una fusione fredda senza salvaguardare le identità particolari. Non puoi fare una legge contro le molestie sessuali che vada bene dalla Lapponia a Trapani. Prima o poi le realtà locali si ribellano.