Maurizio Ricci, la Repubblica 17/11/2010, 17 novembre 2010
L’ADDIO ALLA MONETA UNICA SAREBBE UN INCUBO
«La madre di tutte le crisi finanziarie» l´ha definita un economista autorevole, come l´americano Barry Eichengreen.
L´ipotesi che l´euro possa saltare, evocata apertamente ieri, anche ai massimi vertici della Ue, è, infatti, un incubo finanziario dall´esito assolutamente ignoto, per il semplice motivo che non ci sono precedenti. Inflazione, prosciugamento del credito, finanze pubbliche a secco, fino all´assalto alle banche per ritirare i depositi e il blocco nel movimento dei capitali sono gli ingredienti di uno scenario tanto angoscioso, che il grosso degli economisti continua a ritenerlo impossibile. Ne sarebbero travolti i paesi deboli, come l´Irlanda, la Spagna, il Portogallo e l´Italia, ma anche un paese forte come la Germania, costretta ad una brusca rivalutazione di un nuovo Deutsche Mark, vedrebbe spegnersi il volano delle esportazioni.
Se Irlanda o Spagna tornassero alla moneta nazionale, più debole dell´attuale euro, potrebbero contare su un rilancio di competitività, grazie ad un cambio più favorevole. Ma il maggior costo delle importazioni alimenterebbe l´inflazione e la perdita di valore dei salari scatenerebbe una rincorsa sindacale al recupero del potere d´acquisto che moltiplicherebbe l´aumento dei prezzi, vanificando l´iniziale guadagno di competitività. L´Italia del dopoguerra, fino all´introduzione dell´euro, ha vissuto periodicamente, sulla propria pelle, gli effetti di questi cicli successivi di svalutazione e inflazione.
Contemporaneamente, il debito pubblico nella nuova moneta dovrebbe essere collocato a tassi sempre più alti, compromettendo il risanamento delle finanze statali, che era l´obiettivo originario dell´uscita dall´euro. In realtà, Eichengreen ritiene che questi rischi siano gestibili: riforme strutturali del mercato del lavoro e della finanza pubblica possono ammortizzare gli effetti negativi della svalutazione e rassicurare gli investitori stranieri. Quello che appare assai meno gestibile sono i tempi e le procedure, prima e dopo l´uscita dall´euro.
Questa richiederebbe una pianificazione scrupolosa. Bisogna ridefinire nella nuova moneta tutti i contratti (salari, depositi bancari, obbligazioni, mutui, tasse). E, contemporaneamente, bisognerebbe riprogrammare i computer, i distributori automatici, i bancomat, i caselli autostradali e, praticamente, tutto ciò che, oggi, paghiamo in euro. Un´operazione costosa e che richiede tempo. Per la verità, l´abbiamo già fatta, sia pure a rovescio, quando è stato introdotto l´euro. Ma, allora, le parità di cambio erano già state congelate. Oggi, se saltasse l´euro, questo non sarebbe possibile. Fra il momento in cui l´uscita dall´euro apparisse inevitabile e il momento in cui prendesse vita la nuova valuta scoppierebbe il caos.
Imprese e famiglie, nota Eichengreen, consapevoli che i loro depositi stanno per essere denominati in una moneta più debole, la lira, si precipiterebbero a ritirare i soldi e a versarli nelle banche di paesi a moneta forte. Un assalto generale alle banche, che verrebbero asfissiate dall´assenza di liquidità. E il governo non potrebbe intervenire a salvarle, perché nessuno vorrebbe comprare i titoli di Stato italiani, che stanno per essere ridenominati in lire. Un incubo, appunto.
Evitabile solo a costi pesantissimi, sottolineano due economisti, Mario Blejer e Eduardo Levy-Yevati, che confrontano l´ipotesi del crollo dell´euro all´esperienza del loro paese, l´Argentina, al momento in cui, nel 2001, saltò la parità peso-dollaro. La conversione forzata di tutti i contratti da euro a lire comporterebbe, infatti, squilibri profondi fra chi ci guadagna (i debitori) e chi ci perde (i creditori). A livello nazionale, le perdite di chi era indebitato in euro e deve pagare con una moneta più debole sarebbero più alte dei vantaggi che porterebbe una economia più competitiva. «Un assalto alle banche per ritirare i depositi - sostengono - sarebbe inevitabile», come, infatti, è avvenuto in Argentina.
L´unico modo per impedirlo sarebbe un congelamento temporaneo dei depositi in banca. Attuarlo, però, sarebbe molto complicato perché dovrebbe escludere almeno i depositi a vista e quelli di risparmio. Altrimenti, l´effetto sarebbe solo strozzare la liquidità e precipitare la depressione. Ma non sarebbe l´unica camicia di forza da imporre all´economia. Di fatto, per impedire che il paese venga strangolato dall´obbligo di pagare, con una moneta debole, debiti in moneta forte, bisognerebbe congelare anche questi pagamenti. L´Argentina lo ha fatto e il prezzo che ha pagato è stato l´esclusione, per anni, dai mercati internazionali dei capitali. Questo, però, significa anche che le valute forti diventano sempre più scarse, nel paese.
Inevitabile, allora, imporre pesanti vincoli al cambio e al movimento dei capitali, compreso, ad esempio, l´obbligo di versare alla banca centrale tutti gli incassi delle esportazioni. Un salto indietro di decenni. Ma, dicono i due economisti argentini, «pensare di uscire dall´euro, mantenendo una piena convertibilità, è irrealistico».