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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

SPRECHI E SPERANZA, BENVENUTI AL SUD

«Siamo avvezzi ad attacchi interessati» scrisse Totò Cuffaro in una lettera aperta ai direttori dei giornali dopo la pubblicazione di un’inchiesta del settimanale inglese «Economist» che aveva definito la Sicilia «il terzo mondo dell’Unione Europea». (...) Dopo di che aveva buttato lì il solito sospetto: «Mi chiedo quali interessi ci siano dietro a queste analisi, giunte proprio in un momento nel quale per una convergenza di diversi fattori, non ultimo quello di una nuova stabilità politica, qualificati investitori internazionali guardano alla Sicilia come concreto orizzonte della loro espansione. A chi interessa accreditare l’immagine di un’isola alla deriva?». (...)
Sempre così va a finire, quando i giornali o i servizi televisivi stranieri o «del Nord» si occupano di quello che non va in Sicilia. Con le reazioni stizzite, le lagne vittimiste, le ipotesi di un complotto. Raffaele Lombardo, come è noto, è diventato col tempo, dopo essere stato un suo alleato, un nemico mortale di Cuffaro. Al punto di scherzare su un gallo che, ai bei tempi, aveva regalato «all’amico Totò». Gallo usurpatore che s’era presto impadronito del pollaio ammazzando il gallo cuffariano. Eppure, davanti a un nuovo intervento dello stesso «Economist», che nella primavera 2010 aveva proposto ironicamente di ridisegnare i confini dell’Europa e separare il Sud dall’Italia, associandolo alla Grecia in uno Stato chiamato «Bordello», la sua reazione è stata identica: «Sarà pure humour inglese ma assomiglia tanto ad un proclama violentemente antimeridionale». Di più: «Evidentemente, il newsmagazine britannico, espressione tradizionale dei poteri forti di quella globalizzazione senz’anima…». (…)
Questa convinzione di essere al centro di misteriosi complotti che usano i mass media per denigrare «i terroni», non è solo siciliana. E neppure solo di politici di destra contro i soliti giornalisti «comunisti», che come è noto per Silvio Berlusconi sono «l’85 per cento» della categoria. Lo dimostrano le reazioni di Rosa Russo Iervolino a due inchieste giornalistiche. La prima nel settembre del 2006 contro la trasmissione di «Annozero» che aveva affrontato con toni duri il degrado di Napoli: «La tragica realtà è che qualcuno parla dei mali della città e qualcuno, invece, cerca di risolverli». La seconda quando due mesi dopo il settimanale «l’Espresso» pubblicò un articolo di Giorgio Bocca dal titolo A Napoli ha vinto la camorra. «Questa è un’offesa alla città, un’offesa agli amministratori e a chi espone la sua vita e i suoi averi per combattere contro la camorra — urlò la sindachessa partenopea —. Sono veramente indignata dal modo in cui certa stampa tratta strumentalmente Napoli». (...)
Particolarmente convinti che esista un pregiudizio che impedisce agli «altri» di guardare la loro realtà, sono i politici calabresi. Basti rileggere le indignate lamentele dell’ex presidente regionale Chiaravalloti affidate ai comunicati del suo impareggiabile addetto stampa Fausto Taverniti. Centrati tutti su un tema fisso: l’incomprensione del mondo per l’Era Felice, dopo i secoli bui, del governatore Giuseppe Chiaravalloti. Autore tra l’altro, come spiegava uno dei 341 bollettini dello sdiluviante 2002, di un pontificale saluto urbi et orbi «alla comunità calabrese di tutto il mondo in collegamento mondovisione attraverso il circuito di Rainternational durante il programma "La giostra dei gol"». (...)
Un vittimismo allargato a pezzi della società calabrese. Un esempio? La reazione dell’ordine degli avvocati di Catanzaro alla denuncia dell’inchiesta sullo scandaloso esame di abilitazione in cui 2295 compiti su 2301 erano stati copiati parola per parola: «La ferocia demolitrice con cui in questi ultimi giorni la stampa, la radio e la televisione hanno aggredito tutta la città di Catanzaro indicando al pubblico ludibrio una categoria professionale, quella degli avvocati dell’intera provincia, ben nota in campo nazionale per le sue indiscusse capacità, probità, signorilità…». (...)
Intendiamoci: che ci siano state in questi anni, sui giornali e in televisione, in Italia e all’estero, alcune forzature caricaturali sul Mezzogiorno, è vero. Che alcuni cavalchino queste forzature per motivi di bottega politica è altrettanto vero. E sarebbe indecente non riconoscerlo. Così come non riconoscere lo straordinario contributo offerto al giornalismo, alla cultura, alla politica italiani dal quotidiano, paziente, onesto e coraggioso lavoro di tanti intellettuali meridionali che non mollano mai la presa nel loro tentativo di denunciare le cose che non vanno e insieme di difendere l’onore stesso del Mezzogiorno. Che va giustamente difeso con le unghie e con i denti da certe aggressioni volgari.
Un esempio è quello di Giovanni Russo. Lui pure, qualche anno fa, se la prese con «i nipotini di Lombroso» che «invece di riflettere sulle ragioni profonde dei mali del Mezzogiorno, hanno preferito intonare filippiche e muovere accuse, generando l’impressione che il termine "meridionale" ormai si identifichi con la criminalità, il malaffare, la corruzione». Ma lo fece con l’autorevolezza che gli davano decenni di inchieste sul «suo» Sud che disperatamente amava ed ama nelle quali non aveva mai risparmiato le denunce, le critiche, gli attacchi alla gestione scellerata dei soldi pubblici da parte di una classe politica troppo spesso interessata al potere e non agli interessi, scusate il gioco di parole, dei cittadini.
Il libro di Emanuele Lauria ed Enrico Del Mercato ( La zavorra, Laterza) è nella scia di quel grande giornalismo meridionale che, pagando spesso a carissimo prezzo questa scelta (ricordiamo tra gli altri il sacrificio di Giuseppe Fava, Mario Francese, Mauro De Mauro, Peppino Impastato...) ha dato formidabili esempi di correttezza, capacità professionale, indipendenza di giudizio, onestà intellettuale nel raccontare tutte le cose che non vanno proprio in nome dell’amore per la propria terra. Perché la rabbia e l’indignazione sono maggiori quando si ha a che fare con qualcuno o qualcosa che si ama.
Per questo Emanuele ed Enrico hanno fatto questo libro documentato, denso, ironico, irriverente, coraggioso, sulla «loro» isola. E su quella Regione Sicilia che mettono a fuoco nei dettagli più irresistibili. Perché quelli di Emanuele ed Enrico sono davvero «attacchi interessati». Ma in un senso rovesciato a quello che intendeva Totò Cuffaro. Come tutti i siciliani per bene (la grande maggioranza, spesso ostaggio di una minoranza prepotente, ingorda e assassina) hanno «interesse» a denunciare le indecenze, le ipocrisie, le storture della loro terra perché la vogliono diversa. Perché la vogliono migliore.
Gian Antonio Stella