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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

SALVATAGGI, L’EUROPA SI SCOPRE AMERICANA —

Forse è semplicemente che nella crisi dell’euro stiamo diventando tutti un po’ più americani. Lo è già diventata malgrado se stessa la Banca centrale europea, che in questa lunga deriva ha progressivamente assunto il ruolo politico di garante ultimo del sistema: capace di indicare ai governi le soluzioni, come sul nuovo Patto di stabilità, o di dettare le condizioni come ha fatto con l’Irlanda.
Ma ora più americano sta diventando persino il fondo europeo di stabilità, quello garantito per 440 miliardi di euro dai governi. Quel fondo era nato sei mesi fa, sulla scia del contagio partito dalla Grecia, per poter integrare il bilancio degli Stati in difficoltà. Ma a Dublino sarà usato piuttosto come il Tarp, il «Troubled Asset Relief Program» creato per somme simili dall’amministrazione di George Bush, ereditato da Barack Obama e usato per ricapitalizzare direttamente le banche. Negli Stati Uniti, gli istituti erano terribilmente indeboliti dall’implosione del mercato immobiliare e dei mutui. Quelle irlandesi lo sono tuttora, con la differenza che l’aumento
dei crediti in sofferenza e il crollo del valore medio degli immobili è ancora più violento: giù del 65% dai massimi, secondo stime del governo stilate per il prossimo piano quadriennale di bilancio.
Nascono da qui le difficoltà e i seri rischi per il resto d’Europa nel tentativo di salvataggio che si prepara. Le «consultazioni rapide e concentrate» che la Commissione di Bruxelles e il Fondo monetario terranno presto a Dublino servono a capire in che stato sono davvero le banche, non i conti pubblici. Anche in questo i dilemmi dell’amministrazione Obama si ripresentano per l’Europa di Angela Merkel e Jean-Claude Trichet. All’inizio del 2009 gli americani si dividevano fra chi pensava che il sistema bancario nazionale fosse insolvente — cioè di fatto zombie e fallito — e chi riteneva che dovesse solo risolvere il problema della scarsissima liquidità disponibile. I primi, come l’economista Nouriel Roubini, volevano nazionalizzare i grandi istituti e magari imporre perdite sugli investitori privati. I secondi, guidati dal segretario al Tesoro Tim Geithner, hanno tenuto duro con le iniezioni di capitale tramite il Tarp. Alla fine hanno vinto.
Il dramma irlandese, ed europeo, è che qui la vicenda americana non necessariamente si ripeterà uguale fino al lieto fine. Il sistema finanziario di Dublino continua ad accumulare perdite con l’esplodere dei mutui in sofferenza e l’emorragia di prestiti e depositi. Il fatto che il governo di Brian Cowen cerchi di garantire tutti — depositanti e creditori — spiega perché la voragine degli istituti sia diventata una voragine nei conti dello Stato. E basta pensare che i sistemi finanziari in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti sono esposti per oltre 400 miliardi di dollari su quello dell’Irlanda per capire perché a rischiare non è più solo Dublino.
Su questo sfondo, ora è la politica che deve trovare una strada. Il governo Cowen chiede ancora alcuni giorni prima di piegarsi al salvataggio, a dure condizioni, perché ha un’elezione locale la settimana prossima e presenterà il bilancio subito dopo. Ma il tempo stringe e gli istituti stanno perdendo il loro ultimo sangue ogni giorno che passa. Per parte propria anche l’Fmi, che parteciperà all’aiuto con l’Ue, oggi è diviso al suo interno come l’America del 2009: c’e anche chi pensa che il sistema in Irlanda sia ormai del tutto insolvente e che si debbano imporre perdite ai creditori privati (fra i quali le banche tedesche, inglesi, francesi e americane).
Anche con i 100 miliardi di euro di cui si parla, il salvataggio non sarà semplice. Lo sarà ancora meno perché è ormai quasi certo che, insieme o subito dopo l’Irlanda, anche il Portogallo chiederà aiuto all’Europa e all’Fmi. A quel punto, non ci saranno più abbastanza risorse pronte se un altro Paese dovesse aver bisogno. Sarà meglio che il contagio si fermi al più presto nel suo focolaio oggi più infetto, il sistema bancario irlandese.
Federico Fubini