Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 18/11/2010, 18 novembre 2010
’O NINNO, AFFARI E MINACCE «QUESTA VITA L’HO SCELTA» —
Diversi anni fa, latitante già da un po’, Antonio Iovine telefonò al cronista giudiziario di un quotidiano della provincia di Caserta. Accanto a sé aveva il «collega», camorrista e fuggiasco come lui, Michele Zagaria. All’inizio il giornalista non credeva che all’altro capo ci fosse proprio lui, ’O ninno, e la prese a ridere. Iovine invece rimase serio: «Noi non stiamo scherzando, ci siamo stufati di tutte queste cretinate. Un giornale serio secondo me deve scrivere le notizie che sono serie. Avete capito il messaggio qual è?».
Il cronista smise di ridere. Cercò di capire quali fossero le «cretinate», e Iovine spiegò che si riferiva alla presunta guerra fra lui e Zagaria: «Noi siamo delle famiglie che ci stimiamo da tanti anni, non è possibile mettere a repentaglio le persone...». Il giornalista cercò di interloquire, ma il latitante continuò consegnando lampi del suo modo di vedere il lavoro e gli affari: «Voi fate il vostro mestiere e noi vi rispettiamo per quello che fate. Purtroppo noi facciamo il nostro mestiere, e ce lo siamo scelti noi». Il criminale da una parte e il giornalista dall’altra, fa intendere Iovine, ma senza sconfinare: «Il mestiere che fate voi è di scrivere le notizie, ma scrivetele come si deve». In conclusione, ’O ninno si concesse una punta di vittimismo: «Noi vogliamo fatti i fatti nostri. Adesso ci stiamo riguardando perché dobbiamo affrontare delle cose giudiziarie e dobbiamo fare uscire fuori la verità. Perché ognuno di noi è un martire, nel vero senso della parola».
Ma negli anni successivi, dai processi è venuta fuori un’altra verità. Non certo quella di un martire, bensì di un ex giovane — ha compiuto 46 anni a settembre, nonostante la faccia da eterno ragazzino — che fa oggi dire all’ex pubblico ministero dell’Antimafia di Napoli Raffaele Cantone: «Antonio Iovine è la congiunzione tra passato e futuro dei Casalesi. Faceva parte del gruppo originario di Bardellino, da giovanissimo è stato un killer, e dunque ha avuto un ruolo fin dall’inizio della storia del clan. Poi però è stato tra coloro che più di altri hanno saputo costruire il futuro, dedicandosi alla creazione di un sistema di rapporti con le imprese per gestire il fiume di denaro proveniente dagli appalti. È come se durante la latitanza si fosse riconvertito all’attività imprenditoriale».
È stato uomo di relazioni, dunque, ’O ninno. Che gli sono servite per guadagnare ma pure per sopravvivere nei quindici anni trascorsi da ricercato. Nel libro che ha appena pubblicato con il giornalista Gianluca Di Feo ( I gattopardi, Mondadori), Cantone racconta che tra gli uomini a sua disposizione Iovine ha avuto anche l’infermiere di un ospedale dell’agro aversano il quale, quando il latitante ha avuto necessità, gli ha trovato un medico amico e l’ha accompagnato personalmente nel rifugio del boss. Una sorta di assistenza sanitaria privata che garantiva le cure necessarie senza rischiare l’arresto.
Per il resto, attraverso prestanome e imprese che rispondevano direttamente a lui, Iovine ha continuato a muovere denaro attraverso la spartizione dei lavori pubblici, rispettando sempre la divisione criminale del territorio casertano con gli altri capiclan egemoni, gli Schiavone da un lato e Zagaria dall’altro. E con estese ramificazioni fuori regione. Sugli affari di Iovine e Zagaria la commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura aveva acceso i riflettori spiegando che «stanno sempre più trasformando i loro gruppi in imprese con una capacità di controllo di interi settori economici (dalle costruzioni al movimento terra, dal ciclo del cemento alla distribuzione di prodotti), accompagnata dal tentativo di farsi coinvolgere il meno possibile nelle attività "sporche"».
È quel che conferma un altro magistrato, Antonello Ardituro, componente del pool che ha dato la caccia a ’O ninno negli ultimi anni: «Cercava di esporsi il meno possibile, anche negli incontri durante la latitanza». Ma il suo nome, nelle inchieste sugli appalti eterodiretti e da ultimo anche sulle scommesse clandestine, tornava spesso. Oltre che nelle estorsioni, l’«imposta locale» a cui la camorra, come le altre organizzazioni criminali, non può rinunciare per mantenere il controllo del territorio. Due anni fa, per quel reato, fu arrestata sua moglie.
Giovanni Bianconi