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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

IL SORRISO DEL BOSS PER LE TELECAMERE

Se il filosofo francese Henri Bergson, autore tra l’altro di un famoso saggio sul riso, avesse potuto vedere la televisione che vediamo noi oggi in Italia, forse avrebbe aggiunto qualche nuova pagina al suo libro. Avrebbe avuto oggi a disposizione un numeroso campionario fornito da politici e conduttori televisivi, e dal riso a comando del pubblico presente in studio. Avrebbe potuto vedere il riso supponente di chi sa già cosa dirà l’avversario, il riso di superiorità di chi non tiene in nessun conto ciò che sta dicendo l’avversario, il riso nervoso di chi deve ridere per forza, il riso di compatimento, il riso di sfida, il riso amaro, e così via... Vedendo «Ballarò», «Annozero», «L’Infedele» o «Porta a Porta», li abbiamo tutti registrati e catalogati questi modi di ridere.
Ma come possiamo definire il riso di un criminale, di un capomafia appena arrestato? Questa è una di quelle novità apparentemente irrilevanti che però sorprendono perché indicano una piccola, ma significativa evoluzione del costume. Finora, il mafioso che veniva arrestato si copriva il volto con qualsiasi cosa avesse a portata di mano, «si nascondeva», e così, in un certo senso — anche se solo esteriormente — «si vergognava», e preferiva perciò nascondersi agli occhi e al giudizio di chi lo guardava. Oggi invece il riso di Antonio Iovine, arrestato nel suo covo di Casal di Principe, non è né un riso di sfida né un riso spavaldo da impunito, è un riso che mostra soltanto il compiacimento di chi sa di essere ripreso dalla tv, e solo per questo instaura un rapporto con la telecamera come farebbe un attore consumato che «sente la macchina». Solo per un momento così il mafioso si sente un divo agli occhi di milioni di spettatori, si sente il protagonista di un racconto di cui lui è l’eroe. Dunque non è narcisismo il suo, è solo una metamorfosi causata dall’occhio magico della telecamera, dal tocco magico di chi è «baciato» dalla televisione.
Raffaele La Capria