Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 18 Giovedì calendario

GUARDARSI NEGLI OCCHI CON SERENITA’


Sono nato a Napoli, sono cresciuto a Venezia, vivo a Milano da 20 anni e fanno già 2 giorni che non so più in che città vivo. Da 2 giorni - cioè da quando ho ascoltato in tv Saviano tenere la sua orazione sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia - continuo a chiedermi se quando vado a cena in un ristorante nella cerchia dei Navigli non stia per caso finanziando la ’ndrangheta.
Se quando apro un conto nella filiale sotto casa non stia per caso prestando i miei piccoli risparmi a una banca ben lieta di accogliere i capitali del narcotraffico, se vivendo da cittadino lombardo mediamente rispettoso della legalità e delle regole non sia per caso inconsapevolmente complice di un sistema criminoso. Insomma, la ’ndrangheta è in Lombardia oppure la Lombardia è in mano alla ’ndrangheta?
La domanda è letteralmente inquietante, quel genere di inquietudine benedetta che la parola, artistica o letteraria, è capace di scatenare quando rompe l’ottusità del dire quotidiano, quella rara specie di inquietudine che ci porta a guardarci allo specchio una mattina e a non sapere più chi siamo. E, quindi, ancora una volta, ben venga Saviano. C’è, però, un problema. Nella sua orazione Saviano più che fornire e argomentare la risposta, la suggerisce. Par di capire che la Lombardia sia in mano alla ’ndrangheta (o, almeno, buona parte di essa) ma le sue parole non ci forniscono certezze. Saviano ne ha parlato in televisione, in un’orazione, non ne ha scritto dettagliatamente in un libro. Il discorso televisivo, legato alla performance retorica, alla volatilità della parola orale, levita facilmente, immediatamente, verso dimensioni mitografiche (il giuramento di affiliazione messo in scena a Vieni via con me), giganteggia in suggestioni potenti e sfuggenti (20.000 bar e ristoranti milanesi in mano alla ’ndrangheta!). Sull’onda di quella parola, è difficile, se non impossibile, definire il contorno preciso delle cose, capire esattamente fin dove arrivino le nostre complicità involontarie, fin dove si spingano le responsabilità politiche. Ed è un controsenso perché proprio Saviano ha il grande merito di aver ridato peso etico (e politico) alla parola letteraria in Italia.
Saviano afferma che imprenditori e politici lombardi rimuovono il problema dell’infiltrazione criminale perché non vogliono rinunciare ai capitali del narcotraffico investiti nella regione, Saviano sostiene che c’è un Nord «completamente infiltrato». D’accordo, ma quella dell’infiltrazione è una metafora, utile, suggestiva, forse necessaria, adesso però è indispensabile accedere a una verità letterale. Saviano rivendica il fatto che il suo compito e merito di narratore sarebbe stato quello di aver rotto il silenzio. Benissimo, ma adesso si deve approfondire. Saviano afferma che la ’ndrangheta a Nord cercherebbe l’interlocuzione politica della Lega. Io sono portato a credergli, e non da ora, ma cosa significa di preciso «interlocuzione»? Adesso vogliamo sapere. Con un’affermazione celebre, riferita alle trame oscure della vita nazionale degli Anni 70, una volta Pasolini proclamò: io so, sebbene non abbia le prove. Oggi, di fronte alle rivelazioni di Saviano, credo che l’atteggiamento giusto sia quello di mantenersi ben stretta la propria inquietudine: non sappiamo e vogliamo sapere.
Per tutti questi motivi (e non per un’assurda pretesa di contraddittorio obbligato o di malintesa par condicio) sarebbe secondo me utilissimo e opportuno un confronto televisivo tra Saviano e il ministro Maroni. Non uno scontro polemico ma un confronto vero, chiarificatore. Lo sarebbe soprattutto perché la violenta reazione emotiva e verbale del ministro dell’Interno solleva un’altra questione capitale per il futuro del Paese: la cultura politica della Lega Nord, figlia del Settentrione, quando arriva al governo della Nazione, esprime o non esprime un ministro degli Interni portato a combattere duramente ed efficacemente le organizzazioni criminali? Fino a oggi, per ammissione dello stesso Saviano, era parso fosse così ed io, personalmente, mi auguro davvero che così sia. Ma adesso, proprio a seguito dei dubbi sollevati l’altra sera, ho un urgente e vitale bisogno di saperlo con certezza. La Lega, ci piaccia o non ci piaccia, qualunque sarà l’esito politico del rivolgimento che stiamo attraversando, rappresenta e rappresenterà tanta parte della cittadinanza del Nord, e al Nord, alla sua ricchezza, alla sua società civile, alla sua responsabilità storica, ovunque batta il nostro cuore, rimangono e rimarranno legate le residue speranze di risollevare l’intera Italia.
Per tutti questi motivi, sebbene li senta lontani da me su tante cose, io vorrei continuare a credere che i leghisti siano gente che combatte il crimine. Per tutti questi motivi, vorrei vedere Saviano e il ministro degli Interni sedersi a discutere guardandosi negli occhi. Non come si fissano minacciosi due nemici, ma come chi si parla con franchezza e comunione d’intenti. Aiutateci a capire, per favore, in che città vive chi vive a Milano.