Donald Mahoney, Michael Savage, il Fatto Quotidiano 18/11/2010, 18 novembre 2010
FUGA DA DUBLINO DOPO LA FINE DEL BOOM
In Irlanda ci sono 300.000 case vuote: muto atto d’accusa nei confronti di quanti le hanno costruite nella convinzione che il boom economico sarebbe durato in eterno. Mentre due giorni fa, in piena notte, i ministri delle Finanze dei governi europei lavoravano invano per trovare un accordo su come risollevare l’economia irlandese, le cosiddette case fantasma erano lì a ricordare che la “crisi per la sopravvivenza”, paventata da molti politici, aveva già colpito l’uomo della strada.
Meno lavoro,
più mattone
DAVE O’HARA è tra quelli che hanno cavalcato la Tigre Celtica all’inizio del decennio abbandonando il mestiere che lasuafamigliafacevadasettegenerazioni, l’intagliatore di lapidi, per l’illusoria ricchezza del settore edilizio. Ha fondato un’aziendacheproducevainfissi per le migliaia di abitazioni in costruzione. È diventata un’impresa con un giro di affari di molti milioni l’anno fino alla recessione – e al crollo verticale del settore – nel settembre 2008. Ora l’azienda è in liquidazione e O’Hara, 41 anni, un figlio, vive con il sussidio di disoccupazione. Con la Banca di Scozia ha un debito di oltre 1 milione di euro.
Come molti altri, David O’Hara èinfuriatoconlebanchechesono già state salvate e stanno spingendo il governo a farsi aiutare ancora dai partner europei. “Sonotuttiresponsabilidelleloro azioni, ma il peso della crisi è stato scaricato sulle spalle della povera gente. In questo momento in Irlanda è meglio avere un debito di 50 milioni di euro che un debito di 50.000 euro. Quelli che hanno più colpe stanno soffrendo meno degli altri”, dice seduto nel suo cottage al confine tra la Contea di Leitrim e quella di Sligo, nella parte nord-occidentale del Paese. “Non so come andrà a finire, ma so che non ci aspetta nulla di buono. Ho perso completamente fiducia nel sistema”, aggiunge.
Non lontano dal cottage di O’Hara le “case fantasma”, veri e propri mostri di cemento, sfregiano il paesaggio selvaggio e collinoso. E la crisi che le ha prodotte non ha colpito solo quelli che le hanno costruite, ma anche chi sperava di andarci ad abitare. A seguito della recessione, centinaia di migliaia di proprietari di case sono già venuti a trovarsi in una situazione di “negative equity”: il valore del loro immobile è inferiore all’esposizione nei confronti della banca. Secondo gli economisti questa situazione riguarda una famiglia su sette. La combinazionetossicadell’eccessodiabitazioniimmessesulmercatodurante il boom economico irlandese e l’attuale crollo della domanda, fa sì che molti immobili abbiano al momento un valore inferiorealmutuoconcessodalla banca per il loro acquisto.
Senza reddito
e senza credito
ANCHE l’indebitamento personale è un problema, come gli esuberi e la fine dei prestiti facili: 100.000 famiglie faticano a pagare le rate del mutuo o del prestito ottenuto dalle banche. Il prezzo degli immobili continua a crollare. Oltre alla riduzionedelredditodisponibiledovuto al congelamento dei salari e ad una drammatica situazione della disoccupazione che colpisce oltre un irlandese in età lavorativa su otto, molti temono che si stia per verificare una tragedia sociale.
Le conseguenze della Finanziaria presentata l’altro ieri, che prevedetaglidellaspesapubblica e aumenti delle tasse per altri 15 miliardi di euro, a partire dalla prossima settimana si faranno sentire anche sulle famiglie che finora non erano state sfiorate dalla crisi. Molti cittadini hanno già preso decisioni drastiche. Con una disoccupazione giovanile al 30 per cento, alcuni sono già andati all’estero in cerca di fortuna o, quanto meno, per sfuggire alla prospettiva della povertà.
Secondo le stime dell’Economic and Social Research Institute, il mercato del lavoro non si riprenderà prima di due anni. Almeno 100.000 se ne andranno a lavorare all’estero. In un Paese di appena 4,5 milioni di abitanti, questo significherà un ulteriorecalodeiconsumietensioni sociali dovute all’emigrazione paragonabili a quelle degli anni Ottanta o dell’immediato dopoguerra.
A Dublino i ministri hanno cercato di mantenere un atteggiamento dignitoso e si sono rifiutati di presentarsi con il cappello in mano all’Unione europea. Mentre proseguivano i colloqui a Bruxelles, in Irlanda si faceva strada un certo risentimento per il fatto che, secondo un numero crescente di Paesi membri della Ue, la soluzione miglioreconsistevainuninterventodi salvataggio. Jean-Claude Juncker, il lussemburghese presidente dell’Eurogruppo, ha dichiarato che gli aiuti c’erano. Basta chiederli.
Mentre il governo irlandese sta facendo di tutto per evitare di chiedere aiuto, O’Hara continua la sua solitaria battaglia, ma nemmeno lui vuole per l’Irlanda un imbarazzante salvataggio. “Sono sempre stato europeista – dice – ma ora sono del parere che la soluzione non può venire dall’Europa.Sarebbecomedare una carta di credito ad una famiglia già strangolata dai debiti. A mio parere le banche debbono fallire”.
C’e’ invece chi vuole che i leader politici mettano da parte l’orgoglio e accettino l’aiuto offerto, per quanto umiliante possa sembrare. “Forse un intervento di salvataggio non è una cattiva idea”, dice Jackie McKenna, scultrice a Manorhamilton, contea di Leitrim. “Non sarebbe la fine del mondo. Altrimenti non ne usciremo mai. Bisogna fare qualcosa. Le imprese stannochiudendoibattentiebisogna intervenire”. Malgrado le difficoltà, David O’Hara rimane ottimista. “Il futuro non mi spaventa”, dice, aggiungendo che la sua situazione lo ha costretto a “reinventarsi”. Ora che non può più contare solamente sull’edilizia, anche l’economia irlandese dovrà affrontare un’analoga, dolorosa trasformazione.
Copyright The Independent - traduzione di Carlo Biscotto