Vittorio Malagutti, il Fatto Quotidiano 18/11/2010, 18 novembre 2010
DIETRO I CHICCHI, SCORIE PERICOLOSE IL RISO AMARO DELLA SCOTTI •
Non solo riso. Quelli della Scotti, a Pavia, si sono trasformati anche in trafficanti di monnezza. Anzi, peggio, i manager dell’azienda lombarda, quella degli spot del “dottor Scotti”, hanno bruciato illegalmente rifiuti, anche nocivi e pericolosi, diffondendo fumi potenzialmente tossici nell’aria di Pavia e dintorni. E quel che restava l’hanno rivenduto ad aziende agricole e allevamenti di polli e suini. Tutto questo per anni, almeno dal 2007 al 2009, e per quantità enormi, oltre 33 mila tonnellate. Sono queste le accuse che ieri hanno portato all’arresto di Giorgio Radice, presidente della Scotti energia e di altre sei persone, tra cui due tecnici di laboratorio, Marco Baldi e Silvia Canevari. Questi ultimi, secondo la ricostruzione degli investigatori, avrebbero fornito falsi certificati d’analisi che attestavano la conformità alla legge del combustibile da rifiuti utilizzato nell’inceneritore della Scotti energia, che è stato messo sotto sequestro. Quello di ieri, però, potrebbe essere solo il primo atto di un’operazione ancora più ampia. Nel gran via vai di monnezza da un capo all’altro dell’Italia potrebbe essersi inserita anche la criminalità organizzata. Sarà la Direzione distrettuale antimafia di Milano coordinata da Ilda Boccassini a proseguire il lavoro investigativo in questa direzione. L’indagine della Guardia Forestale, nome in codice Dirty Energy, è nata quasi due anni fa come scampolo di un’altra inchiesta condotta dalla Procura di Grosseto sempre per traffico illecito di rifiuti. Dalla Toscana in Lombardia, la pista seguita dai pm di Pavia Luisa Rossi e Roberto Valli, ha portato dritto al cuore di una delle più note e importanti aziende alimentari italiane. Che adesso, con un comunicato ufficiale, fa sapere che “farà di tutto per accertare i fatti”. Le carte giudiziarie raccontano però che i capi della Scotti Energy avevano trovato il modo di fare profitti sul business dei rifiuti almeno in tre modi diversi. Vediamo come.
IN PRINCIPIO era la lolla. E cioè lo scarto (biologico) della lavorazione di riso, che può essere bruciato per produrre energia. Per questo una decina di anni fa la Scotti costruisce un grande inceneritore a pochi passi dal più importante stabilimento del gruppo a Pavia. Trasformare biomasse (lolla) in energia rende molto, anche perché lo Stato (e quindi i cittadini che pagano bollette maggiorate) compra elettricità a prezzi di favore fissati dalla normativa cosiddetta Cip 6. Ed ecco, allora, la prima fonte di guadagno per la Scotti. Dal 2005 al 2009 l’azienda pavese avrebbe ricevuto circa 25 milioni di fondi pubblici, senza però averne diritto. Già, perché a un certo punto la lolla è stata parzialmente sostituita da rifiuti di ogni sorta provenienti da impianti industriali e centri comunali di raccolta della nettezza urbana. E così nell’inceneritore sono finiti legno, plastiche, imballaggi, fanghi di depurazione. Tutta monnezza che presentava concentrazioni di piombo, nichel, cadmio e altri metalli ben superiori ai limiti di legge. Niente paura: a dare l’ok ai rifiuti alterando i risultati delle analisi c’erano i certificati del laboratorio pavese Analytica srl, gestito da Baldi e dalla Canevari, entrambi, come detto, arrestati. In sintesi, la Scotti ha incassato denaro pubblico per produrre energia da rifiuti pericolosi. Da qui l’accusa supplementare di frode in pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato. Ma ovviamente anche il biglietto d’ingresso all’inceneritore costava caro. Milioni e milioni di euro pagati alla Scotti da aziende di mezza Italia per portare i loro scarti (27 mi-la tonnellate) nell’impianto pavese. Ed è questa la seconda fonte di guadagno per il gruppo alimentare.
TERZA TAPPA . Per la serie non si butta via niente, anche la lolla scartata ma non bruciata veniva messa sul mercato. A comprare erano allevamenti in Lombardia, Veneto e Piemonte che la usavano come lettiera. Piccolo particolare: la lolla in questione spesso e volentieri veniva mescolata ad altri rifiuti, anche pericolosi, come le polveri dell’inceneritore e acque reflue di vario tipo. Insomma, perfino la lolla era taroccata con tutti i rischi del caso per gli animali e quindi anche per i prodotti alimentari che ne derivano.
Pedinamenti elettronici con rilevatori satellitari, intercettazioni telefoniche, microspie, telecamere nascoste e alla fine, dopo molti mesi di lavoro, gli uomini del Corpo Forestale sono riusciti a disegnare una mappa precisa degli uomini e delle aziende coinvolti negli affari sporchi della Scotti. Dalle carte dell’indagine spuntano i nomi di società note anche a livello internazionale, come Sca Packaging, Kimberly Clark, Burgo, e poi aziende municipalizzate come l’Asm di Prato o l’Amia di Verona. Lunghissimo è anche l’elenco degli autotrasportatori che si sono prestati a fare la spola con l’inceneritore.
Infine, il capitolo dei controlli. Dopo il via libera iniziale allo sfruttamento della lolla come combustibile, la Scotti energy aveva ricevuto nuove autorizzazioni regionali e provinciali per ampliare la gamma di rifiuti da bruciare. Autorizzazioni che, secondo l’accusa, sarebbero state costantemente violate utilizzando combustibile con caratteristiche diverse da quelle prescritte.
A QUANTO sembra però nessuno si è mai accorto di nulla, fino all’intervento della magistratura . Ed è rimasto a lungo fermo e silente anche il Gse (Gestore servizi elettrici), cioè l’ente pubblico che compra l’energia pro-dotta dai privati per immetterla nella rete. Solo il 14 maggio dell’anno scorso il Gse ha disposto una verifica sull’inceneritore. Ma il primo esito negativo è stato successivamente corretto in senso favorevole. Via libera quindi, con l’inceneritore che ha continuato a inquinare l’aria di Pavia. Allarmi? Nessuno, perché anche la centralina di controllo dei fumi funzionava male e segnava valori così bassi da risultare inverosimili. A quanto sembra però alla Scotti non ci aveva fatto caso nessuno.