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 2010  novembre 17 Mercoledì calendario

Qualcuno prova a «impiccare» il Parlamento - Caro Granzot­to, attraverso la televisione e la radio ha fatto ir­ruzione un n­uo­vo termine poli­tichese, una co­sa come eanpal­ment, se ho capi­to bene e che è tradotto qual­che volta «parla­mento impiccato» qualche altra «par­lamento appeso»

Qualcuno prova a «impiccare» il Parlamento - Caro Granzot­to, attraverso la televisione e la radio ha fatto ir­ruzione un n­uo­vo termine poli­tichese, una co­sa come eanpal­ment, se ho capi­to bene e che è tradotto qual­che volta «parla­mento impiccato» qualche altra «par­lamento appeso». Scusi l’ignoranza, ma saprebbe dirmi impiccato o appe­so a che cosa? Paolo De Santis e-mail Chissà, forse impiccato alla corda della stupidità di un giornalismo autoreferen­ziale che dimentica il primo dei doveri: farsi capire da chi legge (o ascolta). Lo stesso giornalismo che ogni giorno fa i gargarismi col Tantum Verde de: «il letto­re è il mio unico padrone ». Quello che lei ha udito biascicare, caro De Santis, è « hung parliament », espressione idioma­tica inglese che sta per Parlamento bloc­cato o in bilico o paralizzato in quanto privo di maggioranza. L’impiccagione, che non c’entra niente, dev’essere salta­ta fuori perché to hang significa anche impiccare. Ma come sanno anche i nati­vi della Beozia una espressione idiomati­ca non può essere tradotta letteralmen­te. Se no va a finire come quel mio (illu­stre) collega che ironizzando sugli agi campestri del redattore de Le Figaro che ci ospitava nel fine settimana, se ne uscì con uno scombiccherato: « Gateau la vie, eh? », intendendo ovviamente dirgli: «Dolce la vita eh?». Quella roba lì, caro De Santis, quell’« hung parliament », era faccenda ignota e dunque assente dal no­stro l­essico politichese fino alla primave­ra scorsa. Fino a quando, cioè, i conserva­tori di David Cameron non vinsero le ele­zioni, conquistando però un numero di seggi non sufficienti per detenere la mag­gioranza in Parlamento. Nel linguaggio politico d’Oltremanica quello eletto ri­sultava dunque essere uno « hung parlia­ment » e all’« hung parliament » ovvia­mente si riferirono tutti i quotidiani e le televisioni inglesi. Bene, ghiotti come sia­mo di forestierismi, specie se di impron­ta anglosassone, ce ne siamo imposses­sati, squadernandolo per la situazione che si sta venendo a creare in casa nostra con i movimenti delle truppe cammella­te e rinnegate del compagno Gianfranco Fini. Ma a sproposito, tanto per cambia­re. L’« hung parliament » non può infatti ri­sultare tale nel bel mezzo di una legislatu­ra, ma solo, ma esclusivamente a seguito di una tornata elettorale dalla quale non sia emersa una maggioranza. In tal caso, il premier uscente conserva l’incarico fi­no a quando il Parlamento non esprime una coalizione in grado di sostenere un nuovo esecutivo. Per una questione di britannico fair play , il primo tentativo spetta al partito di governo: se ritiene di aver raggiunto l’obiettivo, si passa al vo­to di fiducia. Se invece dovesse gettare la spugna, tocca all’opposizione. Questo avviene perché in Inghilterra così come in tutti i Paesi a democrazia compiuta si ignora la pratica a noi tanto cara del ribal­tone. Magari non c’è scritto nero su bian­co nelle rispettive Costituzioni (che per altro l’Inghilterra non ha),ma in quei Pa­esi, quelli appunto a democrazia com­piuta, il mandato ricevuto dall’elettore è, per l’eletto, vincolante. E se proprio a qualcuno prude la gabbana e se la vuole rivoltare, per una questione di correttez­za prima che di dottrina si premura di ri­mettere agli elettori il mandato ricevuto. Un comportamento che noi, soggetti al­la Costituzione «più bella del mondo», giudichiamo da fessi. E così, da furbi che se ne fregano della delega ricevuta, carta straccia, a cuor e coscienza leggera ci sen­tiamo a­utorizzati a dar vita a tutta una se­rie di canagliate ( nei confronti dell’eletto­re, del popolo sovrano). Quella consuma­ta da Gianfranco Fini ne è uno dei tanti, anche se fra i più meschini, esempi.