Giuseppe Caravita, Nòva24 18/11/2010, 18 novembre 2010
L’ITALIA CLASSE A++
Che ne direste di far crescere l’occupazione nei prossimi dieci anni, in Italia, di almeno il 15%? E di farlo a costo zero, anzi persino guadagnandoci sulla bolletta energetica importata? Il Governo, da qui al 2020, dovrebbe dare un’occhiata molto seria all’ultimo rapporto della Confindustria sull’efficienza energetica. Analizza, settore per settore la "green economy" italiana in modo realistico. I suoi punti di forza a il giacimento di risparmi di energia ancora da sfruttare. E arriva proprio a queste conclusioni: con un’attenta politica industriale (sgravi fiscali del 55% sul rinnovamento energetico degli edifici inclusi) da qui al 2020 si può innescare un autentico gioco a guadagno per tutti. Consumatori con bollette meno salate, mercati più attivi, aziende che investano e più competitive all’estero, consumi energetici più ridotti, entrate dello Stato più elevate, e anche posti di lavoro, per almeno 1,6 milioni prevedibili. «Ci abbiamo lavorato per più di un anno, con oltre 200 persone coinvolte e decine di associazioni – spiega Massimo Beccarello, docente di economia industriale all’Università di Milano-Bicocca e tra i coordinatori del rapporto – abbiamo sviluppato rapporti conoscitivi settoriali, su tutte le opportunità di efficienza energetica possibili, li abbiamo valutati, ne abbiamo stimato i costi e benefici presumibili e selezionato nove filoni tecnologici di punta.
Infine, con un lavoro non facile, abbimo introdotto questi elementi nel modello econometrico del Csc, il centro studi Confindustria, e ne sono uscite queste previsioni di crescita, valore aggiunto e occupazione. Che, a scanso di trionfalismi, riteniamo del tutto prudenziali».
Lo studio, di per sé, è abbastanza conservativo. «La domanda da cui siamo partiti – continua Beccarello – è se il sistema Italia sarebbe riuscito a raggiungere l’obbiettivo europeo del 20-20-20. Ovvero, al 2020, il 20% di fonti rinnovabili sull’energia finale consumata e il 20% di risparmi energetici. La sensazione era che, senza uno sforzo di sistema-paese sul risparmio e l’efficienza energetica, raggiungere il 20% di rinnovabili (il 17% nel caso italiano, secondo i trattati) sarebbe comunque stato uno sforzo astronomico, da 9,6 miliardi anno di incentivi. E ci avrebbe portato poi a pagare sanzioni salate alla Comunità in caso, quantomai probabile, di sforamento dall’obbiettivo». Di qui la ricerca. Il programma governativo italiano sull’efficienza energetica risale al 2007. Dice che al 2020, naturalmente, il sistema Italia tutto intero consumerà circa 165 milioni di barili equivalenti di petrolio (Mtep) al 2020. E che, con le azioni varate dal Governo (tra cui lo sgravio fiscale del 55% sugli interventi energetici negli edifici) si potranno limare circa 11 milioni di Mtep, il 7%, troppo poco. Anche sommando altri 10 milioni di minori consumi dovuti alla crisi economica il risultato sarebbe solo intorno al 14%. Di qui il piano aggiuntivo sviluppato nel rapporto di Confindustria: «senza ulteriore impegno di risorse pubbliche, riformulando i meccanismi di incentivo ai settori più promettenti si possono aggiungere ai risparmi quasi 10 milioni di Mptep. Che potrebbero divenire 12,6 milioni in caso di un autentico secondo piano straordinario di Governo, consentendoci di centrare l’obbiettivo del 20% di efficienza europea e anche il 17% di rinnovabili». Non è solo buona volontà. In questi giorni, a Bruxelles e al Parlamento europeo si sta discutendo se trasformare da indicativo a vincolante l’obbiettivo di efficienza energetica. E qualcuno vorrebbe persino alzarlo al 25%. «In questo caso sarebbero previste sanzioni, come per le rinnovabili. E noi non possiamo permettercele». Di qui il lavoro su nove principali settori: illuminazione, trasporti, motori elettrici, riqualificazione energetica degli edifici, cogenerazione piccola e grande, elettrodomestici di classe A e oltre, caldaie a condensazione, pompe di calore, gruppi di continuità avanzati nelle utenze elettriche industriali e terziarie. Un insieme di trend dove l’industria italiana è robustamente presente, e esporta, in cui alcuni mostrano nei dieci anni forti guadagni netti e altri bilanci in pareggio o in leggero esborso. «Ma tutti assieme fanno un risultato ampiamente positivo – continua Beccarello – dove possiamo prevedere meno bolletta energetica, meno emissioni (e più certificati verdi), più occupati e più crescita del Paese. Al netto persino di un fattore competitività (di export aggiuntivo sui mercati globali) che il modello, di per sé, non poteva stimare.