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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

DONNE D’ASIA IN CIMA AL BUSINESS

«Alla fine del mese mi restavano in tasca due dollari e quando capitava che fossero cinque mi sentivo in paradiso». La frase le scivola via con un sorriso affettuoso. Trent’anni fa, quand’è arrivata negli States, aveva solo 23 anni: entrava in ufficio a mezzanotte e faceva la receptionist fino alle 5 di mattina per essere poi in aula all’università alle 8. Indra Krishnamurthy Nooyi, Muku per gli amici, è da anni in cima alle classifiche delle donne più potenti e più pagate al mondo e svetta anche nella «Top 50 women in the world business» del Financial Times. Eppure è fra quelle che hanno dovuto affrontare tre sfide «l’essere immigrata, donna e di colore», quando alla fine degli anni Settanta è arrivata a Yale per il master in management. Senza contare il fatto che non poteva deludere la famiglia dell’India del sud: «Quando ero una bambina, se non rientravo fra le prime tre della classe nella classifica che facevano ogni mese, piuttosto che affrontare mio nonno mi sarei buttata sotto un pullman», racconta Indra, ricordando che i genitori le raccomandavano «se fai un lavoro, fallo meglio di chiunque altro». E lei li ha presi alla lettera arrivando al top del management a livello globale (oggi alla PepsiCo, prima alla Boston Consulting), non rinunciando a essere madre, a suonare la chitarra elettrica, a vestire il saari nelle occasioni ufficiali e a divertirsi con il karaoke nelle feste aziendali.

Un modello, che non è rimasto un unicum in Asia, area geografica da dove arrivano 18 delle top50, a contendere il primato al Nord America con le sue 19 potenti manager. D’altra parte proprio in paesi a forte crescita, come Cina e India, la presenza delle donne nel management e nei cda è molto più alta della media dei paesi occidentali. Dalla Cina viene la lady di ferro del business, un mix tra Margaret Thatcher e Donald Trump, secondo la stampa cinese: Dong Mingzhu o sister Dong come è conosciuta in azienda (quinta nella classifica Ft). Famosa per non aver preso neppure un giorno di ferie in vent’anni alla Gree Electric Appliances, Dong suole ripetere: «Non sbaglio mai, non ammetto i miei errori e sono sempre nel giusto», tanto che i nemici dicono che dove passa «non cresce più l’erba». È arrivata in azienda a trent’anni: dopo la morte del marito, lasciò il figlio alla madre e andò a cercare fortuna, ora è il presidente. Della sua vita è stata fatta una fiction televisiva di successo e lei stessa ha scritto il best seller Regretless pursuit, per insegnare con il suo esempio alle giovani cinesi a puntare in alto.

Madre di Shanghai e padre di Hong Kong, la prima ingegnere chimico e il secondo architetto, per Andrea Jung (seconda per l’Ft) nata in Canada ma cresciuta negli States. Studente per nulla brillante, otteneva buoni risultati a scuola solo dietro ricompensa da parte dei genitori, come quando in quarta elementare chiese una scatola di matite colorate che le fu data solo a fine anno come premio dei voti conquistati. Un’educazione al lavoro per conseguire un obiettivo che le è servita anche all’università e poi nella carriera. Ai tempi del college cominciò da capoclasse per finire come presidente degli studenti, per poi laurearsi magna cum laude in letteratura inglese a Princeton nel 1979. Da manager in Bloomingdale’s è diventata la prima ceo di Avon grazie alla filosofia secondo cui «il mercato emergente non è un paese ma sono le donne». L’ultima conquista della Jung è stato Steve Jobs, che lo scorso anno l’ha chiamata a sedere, unica donna, nel board di Apple.

Dall’altra parte del globo, l’americana Cynthia Carroll (12esima) vanta il primato da ceo donna alla guida di Anglo American, la quarta società al mondo attiva nel settore dell’estrazione di materie prime. Fino a qualche anno fa, in Sudafrica era vietato alle donne lavorare in miniera e Cynthia Carroll, fresca di nomina, chiese di scendere a due chilometri di profondità dove si estraeva platino. Da allora i suoi collaboratori hanno imparato che non possono dirle «è un lavoro da uomini». E hanno imparato anche che il profitto non è a ogni costo dopo che la ceo bloccò i lavori in una miniera fermando 28mila dipendenti per i troppi incidenti.

Dall’Europa all’Australia il settore che conta il maggior numero di donne al potere, secondo l’Ft, è quello finanziario anche a seguito del turnover seguito alla crisi del 2008. In India Chanda Kochhar (11ª) guida la Icici bank, seconda banca del paese, e Shikha Sharma (48ª) la Axis Bank, mentre in Australia Gail Kelly (17ª), mezza sudafricana e madre di quattro figli, è l’amministratore delegato della Westpac Bank. L’Europa si difende soprattutto nei paesi nordici: in Svezia Annika Falkengren (18ª) è il numero uno della Skandinaviska Enskilda Banken (Seb) e Mia Brunell Livfors (50ª) la Ab Kinnevik; nelle assicurazioni la britannica Alliance Trust è nelle mani di Katherine Garrett-Cox (49ª) e la danese Tryg è guidata da Stine Bosse (22ª). Nell’analisi per settori, poi, il retail e l’alimentare seguono a ruota, così come i media e i servizi. Resta un mistero la presenza di una sola manager potente nella moda: Angela Ahrendts (13ª) è, da americana, ai vertici della britannica Burberry.

L’Italia è rappresentata nella classifica dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia (29ª, era 38ª lo scorso anno). Dalla carriera all’interno del gruppo di famiglia, è arrivata nel marzo del 2008 a guidare, prima donna, gli imprenditori italiani. Tra le emergenti segnalate dal Financial Times, anche altre manager di casa nostra: Patrizia Grieco (ceo di Olivetti), Monica Mondardini (ceo del gruppo l’Espresso) e Daniela Riccardi (ceo di Diesel).