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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

MICHEL HOUELLEBECQ - IL MIO INCONTRO SURREALE CON LO SCRITTORE ROCKSTAR

«Michel Houellebecq, è vero che si è convertito?«. «No». «No?». «No». Accidenti a lui, mi sono detto, ieri sera mi sono addormentato con in mano il suo ultimo bellissimo romanzo, La carta e il territorio (Bompiani), stamattina mi son svegliato pregustando l’incontro fissato nel primo pomeriggio a Milano, a mezzogiorno ho rischiato di soffocare nel tentativo di battere il record di ingurgitamento yogurt, altrimenti avrei perso il treno, arrivato al Grand Hotel di via Manzoni in leggero anticipohoordinatounabirrettae un tramezzino che mi sono costati trenta euri (avete letto bene: trenta), insomma mi sono speso parecchio per arrivargli davanti e mi aspettavo una qualche ricompensa. E invece nulla, solo un laconico, deprimente «No». Giusta punizione per chi, come me, ancora si fida dei romanzieri.
Mi ha preso per il naso, Houellebecq. Nel libro ha scritto, parlando di sé in terza persona, che dopo avere a lungo «ostentato un ateismo intransigente, si era fatto battezzare con molta discrezione in una chiesa di Courtenay». «Quindi non è vero che si è fatto battezzare?» «No». «Ci sta pensando, pensa di farlo in futuro?». «Si vedrà». “Si vedrà” è meglio di “no” ma non è comunque una gran risposta per chi sperava di annunciare ai quattro venti la conversione al cattolicesimo del più grande scrittore francese.
Non capisco se quest’uomo che si esprime a monosillabi oppure, quando va bene, con brevi e flebili farfugliamenti che la stessa interprete fatica a decifrare, ci sia o ci faccia. Temo che ci sia, da come è entrato nel salone dell’albergo: camminando lentissimo, come qualcuno con estremo bisogno di essere sorretto. Capelli sottili, pelle grassa, con addosso un parka stazzonato e sudorifero, inadatto alla temperatura (alta) dell’ambiente, non aveva l’aria dell’uomo che si fa due docce al giorno. Non aveva nemmeno l’aria di un uomo molto educato: si è stravaccato sulla poltrona e ha messo i piedi sul tavolino. Chi se ne importa, ho pensato: Charles Bukowski, un altro dei miei idoli sciagurati, non si sarebbe comportato meglio. Da un genio bisogna pure aspettarsela, un po’ di sregolatezza. A un certo punto non ho capito se dovevo fare le domande a lui, all’interpre-
te o alle suole, quindi ho provato a inchiodarlo alle sue responsabilità e al suo testo, aprendo il libro e declamando: «I preti, ere-
di di una tradizione spirituale millenaria che nessuno più capiva veramen-
te, un tempo al primo posto nella società, erano ridotti ormai a vivere in condizioni materiali miserabili...». Sollevo lo sguardo dal libro alle suole e dalle suole al suo volto e vedo che gli è caduta la testa sul petto. «Houellebecq, mi sente? Non faccia così, il suo libro non è affatto soporifero...». Houllebecq non sente. Imbarazzo dell’addetta stampa. Mia decisione di intervistare, d’ora in poi, solo
autori di provata sobrietà, e pazienza se un po’ meno geniali. La scena, surreale, mi ha fatto venire
in mente le famose foto di Jack Kerouac a Milano negli anni Sessanta, quando tentò di presentare un suo libro senza riuscirvi, bloccato in una perenne catalessi alcolica. Non so quali sostanze o malattie o abitudini impediscano a Houellebecq di tenere aperti gli occhi alle tre del pomeriggio, in fondo sono fatti suoi, e poi per fortuna risolleva una palpebra, giusto il tempo di ordinargli due caffè e di riformulare la mia domanda sui sacerdoti. «Ho una totale ammirazione per i
preti, specie per i preti che vivono nelle città, il loro è un eroismo pazzesco, una crocifissione permanente, tentati dalle ragazze e senza mai potersi offrire una gioia sensuale...». Forse per lo sforzo di aver pronunciato così tante e così belle parole, si riaddormenta con la tazzina in grembo. Mentre l’addetta stampa la recupera per evitargli di versarsi il liquido sui pantaloni, io saluto e taglio la corda. Verso sera mi telefonano per dirmi di averlo visto negli studi della Rai, per la diretta radiofonica di Fahrenheit, barcollante, con una faccia da far paura. Ma perché (mi rivolgo alla casa editrice) sottoporre un così grande scrittore (mica un Piperno, un Houellebecq!) a una simile via crucis? I grandi scrittori vanno lasciati tranquilli a casa loro, a curarsi.