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 2010  novembre 18 Giovedì calendario

INFARTO DA TROPPO LAVORO. RISARCITO IL DIPENDENTE

Trentamila euro per un infarto da troppo lavoro. Il giudice del tribunale del lavoro di Padova ha ritenuto congruo attribuire questa cifra a Pier Paolo Ive, zelante medico dell’ospedale di Piove di Sacco. La sua “fortuna”: aver lavorato 60 ore alla settimana in lunghi periodi della sua carriera di medico al servizio della Asl.
Sono pochi o tanti 30mila euro più le spese processuali per aver visto in faccia la morte? Dipende dai punti di vista. Anche se entrambi gli avvocati sentiti da Libero concordano nel dire che 30mila euro son pochini. «Una volta accertata la responsabilità del datore di lavoro, l’ammontare del danno da risarcire dipende dalla gravità dell’infarto e, soprattutto, delle sue conseguenze sul lavoratore. Certo 30.000 può sembrare a prima vista un po’ poco» commenta l’avvocato milanese Roberto Ferrario, dello studio Ferrario Lex. «Sono pochi trentamila euro taglia corto l’avvocato napoletano Antonio Garzillo si vede che il troppo lavoro è stato considerato solo una concausa del malessere fisico».
La storia di Pier Paolo Ive è quella di un eroe moderno. E’ la storia di uno di quegli anonimi camici bianchi che lavorano in fatiscenti e bistrattati ospedali pubblici al servizio del cittadino comune. E’ uno di quei tanti italiani che negli ultimi anni ha dovuto subire anche la propaganda dello stereotipo sui dipendenti pubblici fannulloni. Lui, che per 16 anni sempre sul posto non ha mai mancato un impegno. Ed è andato ben oltre i suoi doveri, per abnegazione e spirito di servizio. Mai troppo zelo (surtout pas trop
de zèle) era il motto dell’abile statista francese Talleyrand). Ma quanta distanza tra un lavoratore e un politico.
Un eroe moderno, anonimo e pure ingenuo. Al punto che dal 1993 al 1994 e dal 1997 al 1999 ha lavorato in media su turni da 13 ore al giorno, mentre un sesto turno era di 24 ore. E lui, il medico Pier Paolo Ive, timbrava come se ne lavorasse solo 12 di ore. Perché persino un bambino sa che lavorare 24 ore di fila è illegale. E lui, forse, quell’ospedale che ormai era casa sua, voleva difenderlo come si difende la propria famiglia.
Finché il 2 giugno del 1999, nelle prime ore del mattino Pier Paolo Ive si incammina verso l’uscita. E mentre timbra il cartellino si sente male. Il cuore cede. I motivi? Forse non c’è solo il troppo lavoro. Un cuore può cedere per stress, paura, amore.
Questa volta Ive, però, decide che è troppo ed affida il caso a un avvocato. Risultato: quei 30mila euro in più sul conto corrente e la decisione di andare in pensione. I legali Giancarlo Moro e Marta Capuzzo riescono a dimostrare anche grazie al supporto di una perizia del medico legale Paolo Benciolini che l’eccessivo lavoro «avrebbe svolto un ruolo concausale assieme ad altri fattori» nell’infarto che ha colpito Ive. Come si legge negli atti, il medico lavorava oltre il turno necessario non solo per abnegazione ma anche perché “c’era una netta carenza di personale”. Poiché il datore di lavoro è tenuto “a salvaguardare la salute del prestatore di lavoro” e garantire “l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti” tutti requisiti che sono mancati la decisione del giudice di attribuire un risarcimento è stata dovuta.