Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 17 Mercoledì calendario

LA SCUOLA DI MILANO CHE RISCRISSE LA LEGGE. A LEZIONE DA BECCARIA

«Si va formando da me una scelta compagnia di giovani di talento, fra questi vi nominerò un certo marchese Beccaria figlio di famiglia di 25 anni, di cui la fantasia e l’immaginazione vivacissime unite a uno intenso studio sul cuore umano fanno un uomo di merito singolare...»: così Pietro Verri descriveva una delle prime reclute dell’Accademia dei Pugni, costituitasi intorno a lui nell’inverno 1761-62. Cesare Beccaria, di famiglia nobile ma non illustre, aveva da poco sposato Teresa Blasco, figlia di un militare siciliano, contro la volontà dei genitori; «scacciato da casa con un tenuissimo assegnamento», vi verrà riammesso, grazie ai buoni uffici del Verri, alla vigilia della nascita della prima figlia, Giulia, la futura madre di Alessandro Manzoni.
In quello stesso 1762 Verri gli fece pubblicare il primo saggio, Del disordine e de’ rimedi delle monete; e fu sempre lui a fornirgli l’anno seguente il tema dell’opera che lo renderà famoso, Dei delitti e delle pene, e ad assisterlo insieme al fratello Alessandro e agli altri soci dei Pugni durante la stesura. Benché laureato a Pavia, Beccaria non era un giurista. Aveva però una mente filosofica, «calcolatrice fino al sublime», ed era fresco della lettura delle maggiori opere degli illuministi francesi, Montesquieu, Voltaire, Condillac, Helvétius, Rousseau. Non un trattato giuridico uscì perciò dalla sua penna, ma una dissertazione intorno all’origine e ai limiti del diritto di punire, fondata su una concezione del patto sociale che alla sicurezza della collettività sacrificava la minima porzione possibile dei diritti e della libertà dei singoli. Da questa premessa discendeva la condanna del potere arbitrario lasciato ai giudici e dell’autorità riconosciuta agli interpreti della legge, della confusione tra peccati e delitti e delle irrazionali e inumane procedure giudiziarie in uso, tra le quali l’applicazione della tortura come mezzo per scoprire la verità; alla «inutile prodigalità di supplicii», a cominciare dalla pena di morte, si contrapponeva l’esigenza di un’efficace prevenzione dei delitti, che rimandava a sua volta alla visione di una società organizzata in base a principi di libertà e di uguaglianza.
Alla nitida consequenzialità della dimostrazione si univa un accento di raccapriccio e di sdegno, una vibrazione rousseauiana che concorre a spiegare l’immediato e clamoroso successo del libretto di Beccaria, attestato dalla quantità delle edizioni, dal numero delle traduzioni in ogni lingua, compresi il greco e il russo, delle confutazioni e dei commentari (celebre fra tutti quello di Voltaire). Di questa fortuna fu attento regista, come lo era stato della gestazione dell’opera, Pietro Verri,animato redellarivista«IlCaffè» (1764-66), cui anche Beccaria collaborò con sette articoli. Fu ancora lui a organizzare il viaggio a Parigi di Beccaria e del proprio fratello Alessandro, al fine di promuovere la fama internazionale della école de Milan e di rafforzare i legami con la capitale dei Lumi. Ma il comportamento di Beccaria, dimentico del debito che aveva verso l’amico e incapace a reggere alla lontananza dalla moglie e dalla famiglia, portò alla rottura tra lui e i Verri e fu il preludio del suo ricadere in quella inerzia e in quell’avvilimento che Pietro aveva sin da principio diagnosticato come componenti del suo carattere.
All’invito di Caterina II a recarsi in Russia per collaborare alla riforma della legislazione Beccaria preferì la cattedra di economia politica offertagli a fine 1768 dal governo asburgico. Le sue lezioni, pubblicate postume da Pietro Custodi, gli varranno da parte di Schumpeter la definizione di «Smith italiano». Di una vasta opera Sul ripulimento delle nazioni progettata da Beccaria rimane solo qualche frammento; la sua ultima pubblicazione, nel 1770, furono le Ricerche intorno alla natura dello stile, opera difficile e controversa, che lasciò delusi molti lettori. Nel 1771 Beccaria venne nominato consigliere del Supremo Consiglio di economia e poi del nuovo Magistrato Camerale; da allora fino alla morte (1794) si dedicò con solerzia all’attività di funzionario, rinunciando al ruolo di intellettuale e interessandosi di annona e mercati, di pesi e misure, industrie e miniere; le sue consulte e i suoi pareri occupano undici dei sedici volumi della recente Edizione Nazionale delle opere promossa da Mediobanca: fonte preziosa per la conoscenza della Lombardia tardo-settecentesca, ma eco ormai stanca e parziale dei grandi temi agitati negli scritti giovanili.
Carlo Capra