Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 15 Lunedì calendario

3 articoli - «NEI CAMPI LA FRATELLANZA SI TOCCA CON MANO» - «Siamo una famiglia di avvocati da generazioni e abbiamo sempre vissuto a Roma, nella grande città

3 articoli - «NEI CAMPI LA FRATELLANZA SI TOCCA CON MANO» - «Siamo una famiglia di avvocati da generazioni e abbiamo sempre vissuto a Roma, nella grande città. Io però preferivo la terra, fin da piccola». Olimpia Roberti, 35 anni, spinta da papà avvocato dopo il liceo va a Milano a studiare giurisprudenza. «Ero anche brava. Subito dopo la laurea però ho avuto come un rigetto verso la città, inquinata e con ritmi di vita frenetici, e verso questo tipo di lavoro per il quale bisogna avere un carattere tosto, essere competitivi, aggressivi. Non era roba per me». Olimpia dice al padre: «Faccio l’esame da avvocato come vuoi tu ma aiutami a investire nella terra». Papà Roberti aveva comprato un casale a Montepulciano negli anni 70, «avevamo solo un ettaro e producevamo un po’ di vino e di olio per la famiglia — continua Olimpia —. Ci ho trascorso tutti i week end da bambina e intere estati. Stavo in cantina spesso, aiutavo a travasare il vino». Così Olimpia dieci anni fa compra altra terra, si trasferisce nel casale con il marito, e apre l’azienda San Gallo. Oggi ha 8 ettari, un agriturismo, e produce 45 mila bottiglie di qualità. «Ho solo due dipendenti, perché siamo un’azienda piccola, quindi lavoro anche io, faccio proprio la contadina». Due anni fa Olimpia ha avuto una bambina, «che sono felice di far crescere in campagna. Non tornerei mai indietro, ho convinto anche mio padre a chiudere lo studio e a trasferirsi. Sono religiosa, capisco il Papa e cercavo una vita più vera, dove i rapporti con le altre persone fossero più attenti. Sulla terra i contadini si aiutano, essere credenti qui non vuol dire solo andare a messa, la fratellanza la si tocca con mano ogni giorno». Mariolina Iossa «DA COSTRUTTORE A ECOIMPRENDITORE. E ORA SONO FELICE» - «Solo quando ho cominciato a lavorare per il bene dell’uomo e dell’ambiente ho raggiunto la vera felicità». Marco Roveda, presidente di Lifegate, ospite a Seul del G20 con i grandi del Pianeta, si è «convertito» allo stile sostenibile dopo una vita in senso contrario. «Sono figlio della generazione anni Cinquanta, quella cresciuta con il paradigma "studia, lavora, guadagna". Ho fatto il costruttore per poi accorgermi che con i soldi non era arrivata la mia felicità». Da lì, la scelta di diventare ecoimprenditore, con la creazione della Fattoria Scaldasole, la prima azienda biologica italiana ceduta alla Plasmon. Poi, l’impegno con Lifegate, il primo gruppo editoriale italiano dedicato ai temi della sostenibilità, che nel 2008 gli è valso il premio miglior imprenditore dell’anno. Il messaggio lanciato da papa Ratzinger durante l’Angelus per Roveda è più attuale che mai. «In questo momento storico tra i bisogni primari dell’uomo, insieme a quello di mangiare, bere e ripararsi dalle intemperie, c’è quello di preoccuparsi dell’ecosistema. Per farlo bisogna raggiungere una certa consapevolezza». Un appello a lavorare per il bene comune e contro la «società materialista compulsiva che ha preso piede 30 anni fa, dopo lo yuppismo degli anni Ottanta», osserva Roveda. «Non si sceglie più un lavoro perché ci gratifica, ma perché ci fa guadagnare, neanche gli amici vengono avvicinati per empatia, ma per interesse. Ci si stabilisce in città che non amiamo, ma che promettono guadagni. Poi, dopo vent’anni, ci si accorge di aver vissuto una vita in un posto che non ci appartiene e senza neanche essere diventati ricchi». Michela Proietti «TUTTO E’ COLLEGATO. L’HO CAPITO TRENT’ANNI FA» - Della «dimensione ecologica» dell’agricoltura, ricordata dal Papa all’Angelus, Giulia Maria Crespi ha fatto il centro del suo lavoro degli ultimi trent’anni: la Cascina Orsine è esempio di un’agricoltura che funziona e insieme di ecologia, 650 ettari nel Pavese di cui 350 coltivati con i metodi della biodinamica, i restanti mantenuti a bosco per farne il rifugio di molte specie animali. Così ieri, ascoltando Benedetto XVI, «mi sono commossa — dice — perché questo richiamo del Papa, alla vigilia del convengo di Bologna, sembra un segno, l’adesione ai nostri lavori da parte del mondo spirituale». Il convegno di cui parla Giulia Maria Crespi si aprirà giovedì, ci saranno due ministri (Prestigiacomo e Galan), un messaggio di Napolitano e una platea di agricoltori. «L’agricoltura soffre, le stalle chiudono. Ma nessuno sembra preoccuparsene». Non è un’agricoltura «nostalgica», la sua. È dal ’74 che si dà da fare per aprire strade nuove, da quando «ho vissuto il dispiacere di non sentire più il verso delle mie rane nelle risaie, zittite dai diserbanti». La «strada nuova» ha significato rinunciare a certe comodità — «è più comodo coltivare la terra comprando al consorzio un sacchetto di sali minerali» — per privilegiare la vita dei terreni e delle falde acquifere, insieme ad un’idea più vasta di tutela del paesaggio. «Ora si sta incominciando a comprendere che tutto è collegato», dice. Spera che dal convegno di Bologna — seguito, il giorno 19, da un approfondimento sull’agricoltura biodinamica — escano idee concrete. Lei da dove partirebbe? «Vorrei che gli agricoltori pensassero, com’è giusto, al loro reddito. Ma non solo a quello». Daniela Monti