Barry Eichengreen, Il Sole 24 Ore 15/11/2010, 15 novembre 2010
STATI UNITI: È LA FINE DELL’IMPERO
Un senso di declino si è impadronito ultimamente degli Stati Uniti. Alcuni intellettuali si preoccupano che l’America sia sul punto di soccombere a quella che può essere definita come la "sindrome da fine impero".
Minacciati da un rallentamento duraturo della crescita, gli Stati Uniti di oggi, così come la Gran Bretagna uscita stremata dalla Seconda guerra mondiale, saranno forzati a ridurre i loro impegni internazionali. Questo lascerà spazio a potenze emergenti come la Cina ed esporrà il mondo a un periodo di elevata instabilità geopolitica.
Per analizzare queste dinamiche, è importante comprendere la natura della sindrome da fine impero vissuta dalla Gran Bretagna. Il problema non fu semplicemente che Stati Uniti e Germania crebbero più rapidamente della Gran Bretagna dal 1870 in poi. Dopotutto, è naturale che paesi che accedono allo sviluppo più tardi crescano molto rapidamente, come è il caso della Cina di oggi. Il vero problema fu l’incapacità della Gran Bretagna, verso la fine dell’800, di fare in modo che la propria economia avanzasse.
La Gran Bretagna fu troppo lenta a modernizzarsi e a passare dai vecchi settori della prima Rivoluzione industriale a settori moderni come quello dell’ingegneria elettrica: questo intralciò l’adozione di metodi di produzione avanzati. Non riuscì neanche a sviluppare macchinari elettrici di precisione, il che precluse la produzione dei componenti elettronici utilizzati nell’assemblaggio di macchine da scrivere, registratori di cassa e veicoli a motore. Lo stesso si può dire di altri settori moderni del tempo, come i tessuti sintetici, i coloranti e il telefono, in nessuno dei quali la Gran Bretagna riuscì a occupare una posizione di rilievo.
L’ascesa di nuove potenze economiche con costi di produzione più bassi rese inevitabile la perdita di occupazione in settori datati come il tessile, il metallurgico e la cantieristica. Tuttavia il maggiore fallimento della Gran Bretagna fu quello di non riuscire a rimpiazzare queste vecchie industrie del diciannovesimo secolo con nuove produzioni da ventesimo secolo.
È l’America votata allo stesso destino? Per rispondere a questa domanda è necessario capire le ragioni alla base dello scarso avanzamento tecnologico della Gran Bretagna. Una celebre spiegazione è la presenza di una cultura locale che denigrava il lavoro e l’imprenditorialità. Nel lungo processo di modernizzazione della Gran Bretagna, le classi industriali sono state assorbite dalla classe dirigente. A partire dalla metà del diciannovesimo secolo, le migliori menti britanniche si sono riversate nella politica, e non nell’imprenditoria. I dirigenti aziendali cresciuti all’interno dell’azienda erano, si sostiene, di qualità inferiore.
Questa possibile spiegazione del declino britannico, tuttavia, non ha resistito alla prova del tempo. Non c’è alcuna evidenza sistematica che la qualità dei dirigenti in Gran Bretagna fosse così bassa. Di fatto, allargare la base di possibili dirigenti aziendali andando oltre gli eredi dei fondatori dell’impresa ebbe esattamente l’effetto opposto: permise ai migliori di emergere.
Anche nell’America di oggi è difficile trovare un riscontro reale di questo presunto problema. Le compagnie della Silicon Valley non stanno soffrendo di una penuria di dirigenti di talento. Non vi è alcuna carenza di neolaureati con Mba che diano vita a nuove imprese o che vadano a lavorare per imprese automobilistiche.
Altri sostengono che la Gran Bretagna declinò a causa del suo sistema finanziario. La banche britanniche, cresciute agli inizi del diciannovesimo secolo, quando l’apporto di capitale necessario allo sviluppo industriale era modesto, si specializzarono nel finanziamento del commercio estero piuttosto che negli investimenti all’interno del territorio nazionale, privando così l’industria del capitale necessario alla crescita.
Tuttavia, la presenza di un’effettiva distorsione degli investimenti britannici a favore dell’estero piuttosto che del mercato interno è debole. E, a ogni modo, questo fenomeno sarebbe irrilevante per gli Stati Uniti di oggi, che sono importatori netti di investimenti diretti esteri.
Un’ultima spiegazione dell’incapacità britannica di mantenere la sua posizione di leadership attribuisce la colpa alla sua politica economica. La Gran Bretagna non riuscì a dotarsi di un’efficace legislazione contro le concentrazioni industriali e, in risposta al collasso della domanda nel 1929, eresse alte barriere tariffarie. Al riparo dalla competizione estera, l’industria divenne ipertrofica e pigra. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’alternanza continua tra governi di destra e di sinistra portò a un’estrema volatilità legislativa che danneggiò la stabilità e diede vita a problemi finanziari cronici.
Questa è la spiegazione più convincente del declino della Gran Bretagna. Il paese non riuscì a elaborare una risposta politica coerente alla crisi finanziaria degli anni ’30. I suoi partiti politici, piuttosto che lavorare insieme per fronteggiare i pressanti problemi economici, si accanirono l’un contro l’altro. Il paese si ritrasse su se stesso. La sua classe politica si frantumò, le sue politiche divennero erratiche e le finanze sempre più instabili.
In breve, la Gran Bretagna cadde vittima di un fallimento politico, non economico. E questa storia, purtroppo, sembra ricalcare perfettamente l’attuale evoluzione degli Stati Uniti.