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 2010  novembre 16 Martedì calendario

DUBLINO COSTRUISCE, ATENE RIMEDIA

Non sono uguali. Gli investitori, dovendo ridurre ogni considerazione, ogni analisi, a un prezzo per il rischio, le hanno messe quasi sullo stesso piano, ma l’Irlanda e la Grecia sono profondamente diverse: differenti le loro storie, le strutture profonde e il quadro istituzionale delle loro economie; divergenti, almeno in teoria, i loro probabili destini.

Per i mercati tutto questo conta relativamente poco. C’è un rischio default ad Atene e uno, un po’ più basso, a Dublino. Quello greco "vale" 8,97, quello irlandese 5,68 (e quello portoghese 4,29): sono gli interessi che i titoli di stato devono offrire in più di quelli tedeschi per diventare appetibili.

Qualche analogia "incrociata", in realtà, può essere trovata nella storia recente delle due economie. Entrambi i paesi hanno cercato di vivere al di sopra dei loro mezzi, spingendo i salari a una velocità superiore alla produttività: quelli privati ad Atene, quelli pubblici - grazie a un budget statale decisamente "sano" - a Dublino. Entrambi sono stati travolti da debiti divenuti insostenibili: quelli pubblici in Grecia, quelli privati in Irlanda. Entrambi infine sono stati costretti a inseguire la crisi: Brian Lenihan, ministro delle Finanze, credeva di poter lanciare «il salvataggio meno costoso al mondo» ma i "buchi" nei bilanci bancari hanno già raggiunto i 50 miliardi; il suo collega Giorgos Papakonstantinu ha dovuto invece inseguire, una a una, le bugie del suo predecessore e poi gli sforamenti dei deficit.

Per gli investitori, dunque, la situazione è simile. Sia qui sia lì c’è un governo che ha speso troppo si è indebitato troppo, mettendo a rischio la sostenibilità del paese; e siccome nelle situazioni estreme il settore finanziario è spesso mosso da profezie che si autoavverano, nessuna delle due economie può pensare di essere al riparo. Anche se sono molto diverse le strutture e diversa la qualità del loro indebitamento.

Dublino sta pagando il risanamento del suo sistema creditizio. Sono interventi costosi e criticabili da mille punti di vista, e dovrebbero forse essere accompagnati anche da riforme strutturali del sistema - per esempio la separazione delle attività bancarie con diversi profili di rischio - ma il paese ha bisogno di un settore finanziario sano ed efficiente.

L’Irlanda in un certo senso sta ricostruendo il proprio futuro. Come è avvenuto anni fa, quando la struttura dell’economia e il sistema istituzionale sono stati riformati, al punto da conservare molti elementi competitivi, già in azione: il paese sta manifestando segnali di crescita e le previsioni di base dell’Fmi prevedono per il 2011 un +2,3% contro, per esempio, il modesto 1% italiano.

Nessuno si illuda: il risanamento sarà lungo, anche perché l’economia non è mai stata totalmente equilibrata. La crisi si è scatenata su una bolla immobiliare che aveva innescato un boom delle costruzioni con la conseguente creazione di posti di lavoro ora difficilmente recuperabili. Dopo la recessione, la domanda interna farà fatica a tornare ai livelli precedenti, lasciando il paese dipendente dalle esportazioni e dalla domanda globale.

La Grecia sta pagando invece i suoi molti sprechi. A differenza della virtuosa Irlanda, il paese ha mantenuto per anni i conti pubblici in deficit, senza far leva sui forti flussi di capitale in arrivo dall’estero e sui conseguenti bassi tassi di interesse per risanare i bilanci. Le riforme sono poi mancate, la concorrenza limitatissima è rimasto basso, la corruzione elevata sia nel settore privato sia nel pubblico. Se l’Irlanda è al nono posto al mondo per la facilità di fare business, la Grecia è al 109° (l’Italia all’80°). Sono, insomma, le occasioni perdute di Atene a presentare oggi il conto, e potrebbero non esserci le risorse sufficienti per costruire anche un futuro.

I mercati non riescono però a guardare lontano più di quanto fanno. Hanno paura del default, un evento catastrofico che evidentemente assorbe ogni altra considerazione. Occorrerebbe esorcizzare questi timori; ma i partner europei, Germania in testa, fanno di tutto perché questo non avvenga; e gli investitori sembrano "dimenticare" persino che l’Irlanda tornerà a chiedere i loro soldi, in asta, solo a metà del 2011. Quando la situazione economica sarà, forse, più chiara.