Gideon Rachman, Il Sole 24 Ore 14/11/2010, 14 novembre 2010
NEI DORATI LABORATORI DI BILL GATES
La Bill & Melinda Gates Foundation è la fondazione privata più ricca del mondo e si ripromette di salvare milioni di vite, sconfiggere malattie mortali e lottare contro fame e povertà. Per un’organizzazione con un capitale di 36,4 miliardi di dollari, la sua immagine pubblica è piuttosto modesta.
Il prossimo anno dovrebbe trasferirsi nel nuovo complesso di Seattle costruito appositamente per accoglierla, ma per ora è sparpagliata in una serie di anonimi edifici della città.
La mia serie di incontri alla Fondazione è cominciata il mese scorso nell’ufficio piuttosto dimesso che si trova al numero 1260 di Mercer Street, fra le colline di Seattle da cui si scorge l’Oceano Pacifico. All’esterno non c’è alcun cartello e l’ingresso ricorda tanto la sala d’attesa di un dentista: qualche rivista, un televisore con l’audio abbassato. Oltre a me c’è solo un’altra persona, anche lui inglese, un professore di Nottingham che spera di presentare il suo programma di test educativi.
Una volta all’interno, l’ambiente sembra una via di mezzo fra un’agenzia delle Nazioni Unite e una start up di alta tecnologia; come nella Silicon Valley, nessuno porta la cravatta e il personale è un allegro pot-pourri di nazionalità. Ma più che geni del computer, sembrano medici o esperti di tecnologia del seme che prima lavoravano per il governo, per la ricerca agricola o in un ospedale universitario, e non nel privato.
Il materiale promozionale e le presentazioni in Power Point per i visitatori hanno la stessa professionalità del grafico delle vendite di un prodotto Microsoft, con la differenza che questi grafici illustrano i progressi nella riduzione della mortalità infantile nel mondo più che il successo dell’ultima versione di Microsoft Office.
Alle pareti dell’ufficio di Sylvia Mathews Burwell, presidente del "Programma di sviluppo globale" della Fondazione nonché veterana della Casa Bianca, è appeso un manifesto che raffigura un piccolo africano seduto dentro un catino che lei chiama "il capo". Ma il vero capo in realtà è Bill Gates, il fondatore di Microsoft. Il direttore operativo è Jeff Raikes, un altro veterano di Microsoft che è diventato talmente ricco da stanziare 100 milioni di dollari nella fondazione di famiglia, la Raikes Foundation, che si occupa di problemi adolescenziali. Mi racconta che quando ha lasciato la Microsoft, lo avevano tutti messo in guardia su come sarebbe stato diverso lavorare alla Fondazione: gli animi erano molto sensibili e non c’erano forze di mercato con le quali misurare i successi o i fallimenti. Ma secondo lui il lavoro in fondo non è poi così diverso: amministrare una vasta organizzazione in rapida crescita, stabilire le priorità, pretendere numeri e dati che confermino le intuizioni, sviluppare nuove idee in grado di cambiare il mondo. «La Microsoft ruota tutta intorno alla proprietà intellettuale e così anche la Fondazione Gates» mi spiega Raikes. I progetti spaziano dalla ricerca di un vaccino anti-Hiv a quella di una varietà di riso che resista alla siccità.
La Gates Foundation è nata nel 1994. Le maggiori donazioni sono state elargite da Bill Gates, nel 2000, e da allora sono seguiti altri miliardi da parte del suo amico, nonché compagno di bridge, Warren Buffett, un investitore miliardario. Nel giro di soli dieci anni Gates ha creato la più grande fondazione privata del mondo, ma la sua non è una lotta solitaria. I temi sui quali l’organizzazione ha deciso di lavorare – salute e sviluppo globale e l’istruzione negli Stati Uniti – hanno già ricevuto ingenti finanziamenti e attenzione intellettuale. Giganti istituzionali quali la Banca mondiale, l’Oms e il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, oltre a importanti donatori nazionali, dipartimenti universitari e istituzioni benefiche private di tutto il mondo, stanno lavorando a problemi analoghi.
Ma allora qual è il contributo che Gates e la moglie Melinda – anche lei parte attiva della Fondazione oltre a essere la sua immagine pubblica – possono dare? La Fondazione si è sforzata di individuare le problematiche che sono state trascurate dagli altri, ha finanziato la ricerca vaccinale non solo per l’Hiv ma anche per la malaria, e si è impegnata con tutte le sue forze per debellare definitivamente il virus della polio. Inoltre ha avuto la lungimiranza di devolvere grossi finanziamenti alla ricerca agricola un paio di anni prima che scoppiasse la crisi alimentare globale.
In questo senso funziona come un’azienda privata alla ricerca di nicchie di mercato che sono state tralasciate. Ma forse quello che salta più agli occhi è che l’organizzazione riflette la stessa vivace energia intellettuale del suo fondatore e la sua determinazione a seguire quella visione di ottimismo nei confronti della tecnologia, quella grinta e quel fiuto che hanno portato la Microsoft a esplorare territori ancora vergini. A differenza di molti enti benefici e dipartimenti governativi che operano con lentezza e burocrazia, la Gates Foundation è gestita come un fondo di capitale a rischio. Gates e i suoi sono alla ricerca di imprese rischiose da finanziare, convinti che valga la pena adottare un approccio «ad alto rischio, alto guadagno» per risolvere alcuni dei problemi più gravi a livello di sanità e sviluppo globale. Come ha detto Warren Buffett a questo proposito: «Se vinciamo sempre, vuol dire che stiamo perdendo», in altre parole la Fondazione non si sta assumendo abbastanza rischi.
Il fiore all’occhiello è la ricerca sul virus dell’Hiv e dell’Aids. Stefano Bertozzi, direttore del programma Hiv, spiega che i finanziamenti della Gates Foundation si rivolgono in particolare verso quel tipo di ricerca sperimentale e all’avanguardia che non trova sostegno da parte delle istituzioni ufficiali fondate sul denaro dei contribuenti. Secondo Jeff Raikes lo spray microbicida per ridurre la diffusione dell’Hiv nelle donne, al quale la Fondazione sta lavorando, potrebbe rivelarsi un insuccesso «ma anche se dovesse fallire, impareremo da quel fallimento e ci costruiremo sopra». E aggiunge che un tipico investitore della Silicon Valley può sostenere anche dieci imprese alla volta, «la maggioranza fallirà, ma su dieci potrebbe esserci quella vincente».
Ma non tutti condividono l’idea di Gates, c’è chi sostiene che il suo background tecnologico lo porti a concentrarsi troppo a cercare i "proiettili intelligenti" della tecnologia per risolvere i problemi sanitari, quando spesso questi hanno risvolti sociali o di sviluppo, come convincere i chierici nigeriani a far vaccinare i bambini contro la polio o gli uomini sudafricani a proteggersi dall’Hiv anche attraverso la circoncisione. Di fatto, la Fondazione agisce su entrambi i fronti portando avanti un programma di sviluppo parallelo a quello sanitario.
Persino all’interno della Fondazione c’è la sensazione che il tema dello sviluppo sia il figlio negletto rispetto ai programma sanitari di alta tecnologica che appassionano lo stesso Bill Gates. Certo quando Gates parla a braccio della Fondazione e delle sue priorità, è chiaramente concentrato sulle questioni sanitarie e in particolare sulle nuove cure vaccinali. Mi ha spiegato che a Seattle era stato deciso che la Fondazione stanziasse parte delle sue risorse per un tema fondamentale come l’istruzione, e che altre risorse fossero destinate altrove. «Abbiamo deciso di devolvere il resto a uno dei tanti problemi urgenti e abbiamo scelto la salute globale come prima cosa. Abbiamo intrapreso delle azioni in materia di equilibrio e di sviluppo sanitario, ma la priorità resta la sanità e l’aiuto agli indigenti».
Melinda Gates, moglie di Bill e co-presidente della Fondazione, è particolarmente coinvolta nel programma di sviluppo, in un certo senso è diventata la discreta testimonial della Fondazione con le sue continue pressioni alle Nazioni Unite per promuoverne gli obiettivi e i suoi frequenti viaggi nei paesi in via di sviluppo. Anche se chi lavora alla Fondazione è chiaramente riluttante a fare la differenza fra i due vertici, è evidente che Melinda ha fatto suo il programma sullo sviluppo: ha sostenuto per esempio una campagna per la riduzione della mortalità infantile in India incoraggiando le madri ad allattare i figli appena nati (in alcune zone rurali la madre viene inizialmente separata dal neonato).
Il fatto che la Fondazione sia un riflesso degli interessi personali e delle passioni del suo fondatore, porta a un’altra critica: secondo «The Lancet», la rivista medica inglese, alcune delle priorità della Fondazione sarebbero un po’"stravaganti", mosse come sono dalla visione, dagli interessi e dalle intuizioni del l’eclettico Bill Gates. Ma la Fondazione respinge anche le accuse.
All’interno dell’edificio, l’immagine del suo fondatore è onnipresente. Una delle sue ultime trovate è la Fondazione Grand Challenges Fund dove chi ha delle buone idee nel campo della ricerca può richiedere un finanziamento fino a un milione di dollari, compilando un modulo di sole due facciate. Ci sono momenti in cui la sua presenza intellettuale ricorda vagamente Willy Wonka, il proprietario della fabbrica di cioccolato di Road Dahl sempre alla ricerca di produrre nuovi, strabilianti dolci; ma il chewing-gum per individuare il virus della malaria nella saliva, prodotto nel quadro del Grand Challenges in Global Health Fund, deve aver strabiliato lo stesso Bill Gates. In un altro progetto i ricercatori indiani stanno mettendo a punto un "naso elettronico" portatile in grado di diagnosticare la tubercolosi.
Secondo Bill Gates una delle cose che lega la sua vita di fondatore della Microsoft alla quella nuova di filantropo, è il piacere di assumere «persone eccezionali» e metterle davanti ad alcune delle sfide tecniche più complesse dei nostri tempi. In un momento in cui i fondi per lo sviluppo sono stati tagliati in tutto il mondo occidentale, la Fondazione Gates sta diventando un porto di approdo per tanta gente e per tanti progetti.
La Fondazione finora ha investito 4,5 miliardi di dollari nella ricerca vaccinale, ma "il proiettile intelligente" per i virus del l’Hiv o della malaria non è ancora stato scoperto. Gates spiega che ci vorrà ancora una decina d’anni per ottenere i primi risultati e ha stanziato altri 10 miliardi di dollari per la ricerca vaccinale di base, ma sicuramente sono stati già salvati milioni di bambini semplicemente aumentando il numero delle vaccinazioni contro malattie mortali. In un momento delicato per gli Stati Uniti e per tutto il mondo occidentale, è difficile uscire dagli uffici della Fondazione Gates senza sentirsi un po’ più ottimisti: è l’esempio di una formula fatta di ottimismo west coast verso il futuro, di internazionalismo e di fiducia nel progresso tecnologico.
Eppure, nel partire da Seattle, mi chiedo se la Fondazione non rappresenti anche l’ultimo grido di vittoria di un mondo in declino. Nel Vecchio Mondo le idee, il denaro e il know-how sono passati dall’Occidente ai paesi in via di sviluppo. Nei decenni a venire, come riconoscerebbe lo stesso Bill Gates, molto del dinamismo verrà probabilmente dal l’altro lato dell’Oceano Pacifico.
(Traduzione di Francesca Novajra)