RICCARDO STAGLIANÒ, la Repubblica 16/11/2010, 16 novembre 2010
L´ORIGINE DELLE INVENZIONI IL GENIO È UN SOCIAL-NETWORK
Le idee sono, dirottando una definizione antica, animali sociali. Deperiscono in solitudine, prosperano in compagnia. Quelle nuove, soprattutto, si sviluppano nella promiscuità, nel passaggio di mano, nello scambio ricombinante. Il «genio solitario» è un mito per i nostalgici. Archiviamolo quindi allegramente.
Come sostengono in due libri appena usciti negli Stati Uniti, Kevin Kelly e Steven Johnson, tra i più interessanti tecnologi in circolazione. E già la parabola editoriale - due generazioni diverse con argomenti così simili arrivati in libreria negli stessi giorni - finisce per asseverare la tesi di partenza. Ovvero che la storia dell´innovazione è lastricata di questi sincronismi perché il nuovo, a un certo punto, è come il frutto maturo sugli alberi e capita che più persone allunghino la mano per coglierlo. Come insegnano i sostanziali ex aequo di Bell e Meucci sul traguardo del telefono, i veleni tra Marconi, Edison e Tesla intorno alla radio, i nove padri del telescopio, e così via.
Anzi, per dirla con Johnson, che struttura il suo Where Good Ideas Come From: The Natural History of Innovation (Riverhead, 326 pagine, 26,95 dollari) in sette capitoli e altrettante modalità in cui si manifesta il salto quantico dell´innovazione, la coincidenza dei volumi è la riprova dell´«adiacente possibile». Il concetto, preso a prestito dal biologo teoretico Stuart Kauffman, è un richiamo alla propedeuticità nelle invenzioni. Solo quando tutti i limiti della tecnologia attuale sono stati esperiti si può pensare di passare alla successiva. La «macchina analitica» che Charles Babbage aveva concepito nel 1830 era, concettualmente, già la ricetta per il computer moderno. Ma gli ingredienti ancora non erano pronti e non lo sarebbero stati per un altro secolo. Lo stesso vale per ciò che oggi chiamiamo web. A metà anni Sessanta, Ted Nelson concepisce il Progetto Xanadu, il prototipo di un ipertesto multimediale, ma al risultato reale arriva un quarto di secolo dopo il fisico Tim Berners Lee, posando le fondamenta dell´html. «Il suo è stato un mezzo passo avanti rispetto a quel che si conosceva sin lì, mentre il design più elegante di Nelson avrebbe richiesto da parte di tutti cinque passi in un colpo solo».
Tra le strade che il nuovo sceglie per avanzare c´è anche l´exattamento, vale a dire l´utilizzazione alternativa di qualcosa che si era evoluto per altri scopi, come la pressa per l´uva essenziale nel realizzare la stampatrice di Gutenberg. O le piume per gli uccelli, spuntate per scaldare ma servite poi a volare. Le analogie con gli organismi viventi affollano anche What Technology Wants (Viking, 416 pagine, 27,95 dollari). Kelly va oltre, attribuendo alla tecnologia una sorta di autonoma capacità senziente. Ciò che battezza technium è il «sistema globale di tecnologia massicciamente interconnesso che vibra intorno a noi». Non solo macchine ma tutti «i frutti della creatività umana», dalla filosofia al codice informatico. La buona notizia è che questo golem digitale non sta preparando una sedizione contro gli umani: «I suoi desideri meccanici non sono vere deliberazioni ma piuttosto tendenze». Quelle, comuni a ogni forma di vita, di evolversi, espandersi, crescere di complessità. Kelly sa che il prezzo da pagare a questa moltiplicazione è, tra l´altro, l´aumento esponenziale della robaccia che intasa le arterie del web. Ma anche lo scarto ha una funzione: «Per creare qualcosa di veramente grande devi avere la possibilità di fare anche un sacco di schifezze». Vale per la tv («mediocre prima di YouTube perché era troppo costoso osare»), vale per l´uso di Internet, esploso creativamente con il crollo dei prezzi della banda larga. Viene in mente l´ammonimento di Samuel Beckett: «Prova ancora, sbaglia ancora, sbaglia meglio». Possibilmente in squadra, perché come dimostra un vecchio studio del sociologo Kevin Dunbar (diventato poi celebre per aver dato il suo nome al numero massimo di amici gestibili: 150) su vari biologi molecolari, le scoperte più importanti avvengono in gruppo, nella discussione più che al microscopio. Parte di quell´interazione si è spostata in Rete. Twitter, per Johnson, è un habitat propizio per intercettare e manipolare i flussi di novità. Piuttosto i retweets, specifica Kelly, ovvero il riprendere e rilanciare le segnalazioni altrui. Anche in quel pagliaio di narcisismo esistono aghi di saggezza. Se non proprio il genius, almeno lo scenius che, nel neologismo di Brian Eno, indica i protagonisti appassionati e interconnessi nella scena sociale. Tutti insieme intelligentemente.