GIOVANNI VALENTINI, la Repubblica 17/11/2010, 17 novembre 2010
SE L´AGRICOLTURA RIPRENDE LA SUA IDENTITÀ PERDUTA - A
come agricoltura. E anche come aria, alimentazione, ambiente. Sono le quattro "A" che regolano la vita dell´umanità dalla notte dei tempi, in quella catena della sopravvivenza che ha garantito fin qui la prosecuzione della specie. Ma la campagna italiana, minacciata innanzitutto dal cemento e dall´asfalto, rischia di deperire irrimediabilmente, coinvolgendo anche la conservazione del paesaggio su cui si fonda la nostra identità nazionale. I danni prodotti dall´ultima ondata di maltempo, dal Veneto alla Campania, rappresentano perciò - al di là della loro dimensione economica e sociale - un avvertimento della natura contro la devastazione provocata dalla mano dell´uomo.
L´agricoltura italiana sta attraversando la crisi peggiore dal dopoguerra. Dal 2000 al 2009, la sua quota di Pil (Prodotto interno lordo) è scesa dal 2,5 al 1,6%. Le nostre campagne si stanno progressivamente spopolando, mentre le piccole aziende agricole lasciano spazio alla coltivazione intensiva: negli ultimi dieci anni, sono già diminuite del 26% e quelle con allevamenti di bestiame si sono ridotte addirittura alla metà. Altro che "dipendenza energetica" dall´estero: di questo passo l´Italia rischia di perdere anche l´indipendenza alimentare, di non avere più frutta e verdura proprie né carne di produzione locale da consumare. Hanno senz´altro ragione quindi gli agricoltori a sentirsi traditi da una politica che non li aiuta e da una burocrazia inutilmente complessa e onerosa, nonché da un mercato che non rispetta i costi reali del lavoro.
Ma il peggio è che l´abbandono dell´agricoltura sta distruggendo di conseguenza il paesaggio, l´ambiente e la biodiversità, con la prospettiva di inevitabili ripercussioni sul turismo e su tutto l´indotto: dall´industria alberghiera alla ristorazione, dall´eno-gastronomia all´artigianato. Nel frattempo, il degrado ambientale e il dissesto idrogeologico non fanno che aggravare i danni del maltempo, scaricandoli fatalmente sulle casse dello Stato e degli enti locali: negli ultimi sessant´anni, dal ´51 al 2009, le alluvioni, le frane e i crolli sono costati complessivamente 50 miliardi di euro, con un bilancio ancor più grave in termini di vite umane che registra purtroppo 3.660 vittime. E anche questa è una conseguenza del cambiamento climatico prodotto dall´effetto serra, cioè dall´inquinamento e dal riscaldamento del pianeta, con il fenomeno tipicamente tropicale delle piogge concentrate in poche ore o in pochi giorni che si alternano a periodi di siccità.
C´è dunque un fondo di saggezza nel proverbio popolare che dice: «Piove, governo ladro». E non sta tanto, come si può ricavare da una lettura superficiale, nell´ovvio qualunquismo di un´imprecazione del genere. Quanto piuttosto nella consapevolezza che perfino un evento meteorologico come la pioggia, quando diventa una calamità naturale e provoca alluvioni, frane, crolli, vittime e danni, interpella fatalmente le responsabilità di chi governa o non governa il territorio. Di chi appunto "ruba" il suolo, consumandolo con la cementificazione selvaggia, l´urbanizzazione irregolare, il disboscamento, l´abusivismo e con quella malattia endemica della società moderna che si può chiamare "capannonite", cioè l´estensione indiscriminata dei capannoni che invadono e ricoprono la campagna. Non è allarmistico né esagerato concludere, dunque, che lo stato dell´agricoltura italiana segnala ormai un´emergenza nazionale, da cui dipende non solo il futuro di un settore fondamentale per l´intera economia italiana, ma la stessa identità sociale e culturale del Paese. Nel passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale e poi post-industriale, rischiamo di cadere nel vuoto dell´inciviltà perdendo il senso dell´orientamento e la direzione di un autentico progresso.