varie, 17 novembre 2010
MEDICI DI FAMIGLIA PER VOCE ARANCIO
In Italia lavorano circa 60.000 dottori in medicina generale di cui 43.985 medici di famiglia (i restanti sono guardie mediche).
Il 64% degli italiani ha fiducia nel proprio medico di famiglia.
Il Lazio è la regione dove ci sono più medici di base: 1,06 per 1.000 residenti, contro un valore medio nazionale di 0,91 per 1000.
Come si diventa medici di base. Dopo il normale corso di laurea in Medicina, per i medici di famiglia non è prevista alcuna formazione specialistica universitaria ma la frequentazione di corsi triennali gestiti dalle Regioni. A queste scuole di formazione in medicina generale si accede per concorso. I corsi regionali dovrebbero essere attivati ogni anno, ma ciò non accade praticamente mai e spesso inizia un nuovo corso solo alla conclusione del precedente, cioè ogni tre anni. I corsi triennali prevedono seminari teorico-pratici e due tirocini di sei mesi ciascuno presso gli studi medici di dottori di base già abilitati. Al termine dei tre anni, l’aspirante medico di famiglia presenta una tesina. Una volta ottenuto il titolo, i medici si iscrivono a graduatorie regionali e accumulano punti professionali (se si ha il diploma di formazione, si fanno ore di guardia medica, si sostituisce altri medici di base ecc.). Quando raggiunge un numero sufficiente di punti, può aprire un ambulatorio nella località che gli viene assegnata dall’Asl.
È stato attivato quest’anno il primo master universitario di II livello in Medicina generale promosso dalla facoltà di Medicina e Chirurgia e dalla scuola di Formazione continua dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Si tratta di un biennio di specializzazione che può essere seguito dopo i tre anni di scuola regionale di formazione. Le richieste di iscrizione al corso dovranno pervenire alla scuola di Formazione Continua del Campus Biomedico di Roma entro il 7 dicembre 2010. L’inizio delle lezioni è previsto per il 21 gennaio 2011, con frequenze di un fine settimana al mese.
Il medico di base non può superare un numero massimo di assistiti (1.500), è tenuto a osservare un orario settimanale di apertura dell’ambulatorio e di visite domiciliari. Ha l’obbligo di comunicare il periodo di ferie.
Lo stipendio di un medico di famiglia è “a quota capitaria”, cioè stabilito in base al numero degli assistiti. Le regioni pagano un compenso annuo di 38,62 euro (presto diventeranno 40,05) per ciascun paziente, che lo si visiti o no (quindi un medico con 1.000 assistiti guadagna 38.000 euro l’anno).
Il numero dei pazienti determina anche l’orario di apertura dell’ambulatorio: 5 ore alla settimana fino a 500 pazienti, 10 ore da 500 a 1.000, 15 ore da 1.000 a 1.500.
Su un totale di 43.985 medici di famiglia, gli under 40 sono appena 234; 36.504 medici hanno tra 46 e 60 anni, mentre 5.509 hanno tra 60 e 70 anni. Solo 4 hanno tra 28 e 30 anni.
Oggi a diventare medici di base sono pochissimi diplomati: nessuno nel 2009, uno soltanto l’anno precedente, tre nel 2007. Per superare i 10 bisogna risalire al 2004, quando gli ingressi furono 14. Nel 2011 andranno in pensione oltre 800 medici di famiglia.
Secondo la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri italiani, tra il 2015 e il 2025 circa 25mila medici di famiglia andranno in pensione e non saranno rimpiazzati per mancanza di giovani medici di base. Il che significa che circa 11 milioni di italiani resteranno senza medico di famiglia, soprattutto in campagna o nelle zone di montagna.
La situazione sembra critica in molti altri Paesi europei. In Francia, il consiglio nazionale dell’Ordine dei medici ha pubblicato uno studio che analizza la presenza e la distribuzione dei professionisti della salute regione per regione. Risultato: i medici invecchiano, le diseguaglianze sono assai forti da una zona all’altra e i giovani si guardano bene dall’entrare in quella che oltralpe si chiama “professione liberale”. Il 66% dei laureati aspira a entrare in un ospedale, chi non riesce spesso preferisce fare il sostituto a vita rimpiazzando colleghi più anziani (lo fa il 25% dei medici di base). Dalla Germania lancia l’allarme il ministro della sanità Philipp Rosler: «Abbiamo moltissimi laureati, ma troppi scelgono la città e troppo pochi la campagna. Un professionista su due ha più di 45 anni. Bisogna intervenire, riservando quote nelle università ai giovani che si impegnano a lavorare per qualche anno nelle zone rurali».
In Germania i medici di base tedeschi vengono sempre più spesso rimpiazzati da colleghi romeni.
La Convenzione della medicina generale, firmata lo scorso anno, prevede l’istituzione di Unità complesse di cure primarie (Uccp), cioè dei “superambulatori” in funzione 24 ore su 24, tutti i giorni della settimana. Queste strutture sono rese possibili dall’associazione di più medici e pediatri (ogni squadra deve essere composta da almeno 20 dottori): guardie mediche per la copertura notturna e festiva, specialisti, medici che si occupano di prevenzione, tecnici della riabilitazione e infermieri, segretarie, operatori sociali. L’istituzione di queste Unità è ancora in fase sperimentale.
È da poco terminata, invece, la sperimentazione del sistema di invio online dei certificati di malattia. L’eliminazione del certificato cartaceo, secondo le stime del governo, permetterà un risparmio di circa 500 milioni di euro: attualmente i certificati emessi sono dai 150 ai 200 milioni all’anno, il cui costo per cittadino e pubblica amministrazione è di circa 10 euro. Si prevede che il sistema entrerà a pieno regime entro il 31 gennaio 2011.
Il 66% dei medici di famiglia usa il pc per il proprio lavoro. Il 97,5% ha software (comprati a proprie spese nell’83% dei casi) per registrare dati personali dei pazienti, per la registrazione dei dati clinici, per la prescrizione di farmaci ed esami di laboratorio e per la prescrizione di esami strumentali.
Il medico di famiglia si chiama così dal 1980, quando l’entrata in vigore del Sistema sanitario nazionale lo sostituì al medico condotto. Questo medico, assunto e licenziato dai Comuni, aveva l’obbligo di residenza nella cittadina dove svolgeva il suo lavoro. Doveva garantire la presenza continuativa, 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana. La sostituzione per le ferie doveva essere autorizzata dal Comune. I poveri, ufficialmente riconosciuti, erano curati gratuitamente; gli altri pagavano le prestazioni del medico. Solo lui poteva richiedere l’intervento dell’ambulanza, era anche pediatra e fino agli Anni 60 circa, quando ancora quasi tutti i bambini nascevano in casa, assisteva al parto accanto all’ostetrica.
I medici condotti furono istituiti dall’imperatore romano Antonino Pio (86-161), che destinò gli archiatri populares alla tutela della salute dei poveri. Questi medici erano ben pagati e dislocati nelle città e nei distretti in proporzione al numero degli abitanti. Avevano l’incarico di sorvegliare le condizioni di igiene e salute della zona di loro competenza. Nel 1300 ciascun Comune stipulava un contratto per “condurre” l’opera di un medico (che perciò era detto “condotto”) per la cura dei poveri. In Piemonte e in Toscana l’istituzione delle condotte mediche fu disciplinata dal 1700, poi durante la metà del secolo si affermò anche in Lombardia. Solo intorno al 1865, dopo l’unificazione del Regno d’Italia, si diffuse in tutto il Paese.
Cosa c’è nella borsa del medico di famiglia: sfigmomanometro (serve per prendere la pressione, prezzo medio: 30 euro) e stetoscopio (per ascoltare il battito cardiaco, prezzo medio: 80 euro), abbassalingua (i bastoncini per vedere meglio la gola, prezzo medio: 3 euro, 50 pezzi), termometro (prezzi dai 5 ai 35 euro circa), lampadina tascabile (40 euro circa), martelletto neurologico (per controllare i riflessi: 10 euro), otoscopio (per vedere il condotto uditivo: circa 200 euro), glucometro (per misurare la glicemia del sangue: 30 euro circa), pulsossimetro (misura l’ossigeno nel sangue: 150 euro).
Giacomo Milillo, segretario della Fimmg, Federazione italiana dei medici di medicina generale: «Il medico di famiglia non ha un budget dedicato alla strumentazione. Se decide di acquistare un ecografo portatile, lo fa pesando sul proprio bilancio. Anche la partecipazione ai corsi di aggiornamento per imparare a usare i nuovi strumenti è lasciata alla sua iniziativa. In Italia non esistono incentivi per l’innovazione tecnologica» (a la Repubblica).
La professione del medico di famiglia è in evoluzione anche grazie a strumenti diagnostici dalla tecnologia molto avanzata. Pur restando ancora in uso il classico stetoscopio, sono sempre più numerosi i medici che utilizzano termometri a raggi infrarossi, ecografi portatili, elettrocardiografi privi di elettrodi che si tengono in mano, radiografie digitali che possono essere inviate via e-mail e stetoscopi che trasmettono i risultati grazie a sistemi Bluetooth. Lo scorso anno il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, esortò i medici di famiglia a dotarsi di «un minimo di tecnologia diagnostica per limitare il ricorso a ospedali e pronto soccorsi». Un ostacolo all’ammodernamento tecnologico può risiedere nella difficoltà di utilizzo di certi macchinari. Raffaella Michieli, segretario della Società italiana di medicina generale (Simg): «Usare un ecografo non è semplicissimo. Occorre una pratica che spesso neanche i laureati freschi di università hanno». La necessità di tecniche diagnostiche sempre più raffinate sembra, dunque, indicare come sarà il futuro della professione del medico di base: più dottori che lavorano insieme e condividono gli apparecchi tecnologici, insieme a specialisti per i casi più complessi e infermieri. Lo studio di medicina generale è destinato a diventare un piccolo ospedale.