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 2010  novembre 17 Mercoledì calendario

L’assassino di Marion confessa dopo 45 anni - Thomas Blanton e Bobby Frank Cherry, membri del Ku Klux Klan, sono stati condannati nel 2001 per la bomba che piazzarono in una chiesa dell’Alabama nel 1963, uccidendo quattro ragazze di colore

L’assassino di Marion confessa dopo 45 anni - Thomas Blanton e Bobby Frank Cherry, membri del Ku Klux Klan, sono stati condannati nel 2001 per la bomba che piazzarono in una chiesa dell’Alabama nel 1963, uccidendo quattro ragazze di colore. Quarantacinque anni dopo, l’omicidio di Marion che innescò le marce per i diritti civili ha un colpevole ed è la prima volta che un delitto razziale viene attribuito ad un agente. La notte del 18 febbraio 1965 la polizia dell’Alabama fece irruzione nel Mack’s Cafe del piccolo centro di Marion, usando i manganelli per colpire gli afroamericani ovunque fossero. Jimmie Lee Jackson, 27 anni, vide cadere in terra la madre e il nonno. Temendo il peggio si mise fra loro e un agente che si avvicinava. Fu quest’ultimo a fare fuoco, uccidendolo sul colpo. La morte di Jimmie Lee Jackson si trasformò in uno shock per gli afroamericani, diede forza al movimento per i diritti civili e spinse i leader della «Southern Christian Leadership Conference» a indire per il 7 marzo seguente la marcia da Selma a Montgomery che la polizia represse violentemente nel «Bloody Sunday» (Domenica di sangue) innescando una mobilitazione nazionale che il 15 marzo spinse Lyndon B. Johnson a presentare al Congresso il «Voting Rights Act» sulla fine della discriminazione dei neri nei processi elettorali. Al funerale di Jimme Lee Jackson fu Martin Luther King a leggere l’orazione funebre e la marcia da Selma a Montgomery è rimasta impressa nella memoria della nazione come un momento di svolta nelle battaglie per i diritti civili. Non a caso ogni anno nel «Martin Luther King Day» gli afroamericani la ricordano marciando in ogni grande e piccola città e dando vita ad episodi di emozione collettiva che hanno visto protagonista nel 2008 anche Barack Obama lungo le strade di Columbia, in South Carolina. Ma a dispetto di un’America trasformata dalla fine della segregazione l’uccisione di Jimmie Lee Jackson sarebbe rimasta impunita se il primo procuratore afroamericano della contea di Marion, Michael Jackson, non avesse deciso di riaprire il caso nel 2005, poco dopo essersi insediato. L’occasione venne dal fatto che un ex «State Trooper» dell’Alabama, James Bonard Fowler, aveva rilasciato al The Anninston Star un’intervista nella quale ammetteva di essere stato lui a fare fuoco ma per «legittima difesa» perché «Jimmie Lee Jackson stava tentando di uccidermi». A 40 anni dall’omicidio Fowler si sentiva oramai talmente sicuro di averla fatta franca da tentare di imporre la sua versione dei fatti ma il nuovo procuratore, espressione di una generazione di giuristi afroamericani senza più alcun complesso di inferiorità, decise di riaprire il caso essendo lui ora il titolare della Contea di Perry dove si trova Marion, luogo del delitto. Per il procuratore non è stato facile far avanzare le indagini: solo nel maggio del 2007 riuscì ad arrivare all’incriminazione di Fowler e da quel momento tutto diventò ancor più complicato per le resistenze del giudice distrettuale Tommy Jones, che è un bianco ed ha opposto un’infinità di ostacoli legali, moltiplicando procedure e richieste all’evidente fine di non far svolgere mai il processo. Ma Jackson non si è arreso ed ha fatto appello alla Corte Suprema dell’Alabama che ha imposto al giudice Jones di dare luce verde al dibattimento. È stato proprio questo il momento di svolta perché l’ex «State Trooper» Fowler, che oramai ha 77 anni, arrivato di fronte alla prospettiva dell’imminente processo - l’inizio è fissato per il 29 novembre - ha fatto sapere di volersi dichiarare colpevole. L’emozione nella comunità afroamericana dell’Alabama è stata forte quando Fowler si è recato in tribunale e, deponendo sotto giuramento, ha detto: «Ero entrato per salvare delle vite, non per toglierne, vorrei poter rifare tutto da capo». L’ammissione di un delitto razziale da parte di un agente in divisa è senza precedenti ed è su questo argomento che il procuratore ha fatto leva per spingere la famiglia della vittima ad accettare un accordo che comporta per Fowler una pena minima - 6 mesi - da scontare inoltre in un carcere della propria contea di Geneva, ovvero vicino a casa. Cordelia Billingsley, figlia dell’assassinato, ha accettato con evidente insofferenza: «Quest’ammissione di colpevolezza punta a chiudere il caso ma ciò per me non sarà mai possibile». Il procuratore è tuttavia convinto di aver raggiunto l’obiettivo desiderato: «Trattandosi di un uomo anziano a malato, sei mesi in carcere equivalgono ad una condanna a morte». Ciò che più conta, a suo avviso, è continuare la serie di condanne per i delitti irrisolti degli Anni Sessanta: se nel 2003 a ricevere l’ergastolo per l’uccisione di quattro bambine nere a Birmingham furono due ex membri del Ku Klux Klan e nel 2004 ad essere condannato per l’assassinio di Medgar Evers in Mississippi fu un leader suprematista bianco, adesso il braccio della giustizia ha dimostrato di riuscire a raggiungere anche coloro che commisero gravi delitti mentre indossavano la divisa delle forze dell’ordine. La morte dell’attivista Byron De La Beckwith, del Ku Klux Klan, è stato processato due volte per l’omicidio dell’attivista per i diritti civili Medgar Evers (foto) nel 1963, ma è stato condannato solo da una terza giuria nel 1994.Linciaggio nella notte Il Ku Klux Klan ha linciato (foto) tre attivisti per i diritti civili, un nero e due ebrei, nel 1964 (la vicenda ha ispirato il film «Mississippi Burning»). Uno degli assassini, il reverendo Edgar Ray Killen, è stato condannato solo nel 2005.