Marco Fortis, Il Sole 24 Ore 16/11/2010, 16 novembre 2010
BANCA FAMIGLIA RICCHEZZA D’ITALIA
L’Italia, nonostante handicap formidabili come il divario Nord-Sud, il più alto tasso di dipendenza dall’estero per l’energia primaria del G-20, l’evasione fiscale e lo storico debito pubblico ereditato dal passato, è un paese straordinariamente ricco in virtù della imprenditorialità e del risparmio. Peccato che abbia una politica povera, con i vari governi tutt’al più impegnati, senza discontinuità, a porre rimedio ai precedenti (e ad altri) handicap che ci espongono permanentemente a crisi potenziali.
Eppure ci sono solo due economie al mondo che possono vantare una ricchezza delle famiglie (finanziaria e immobiliare) più diffusa dell’Italia: la Norvegia, che nuota letteralmente nel petrolio, e l’Australia, che nuota nell’opulenza fondiaria e mineraria, tra allevamenti di pecore e giacimenti di metalli e carbone. L’Italia, che non ha né idrocarburi né materie prime, è invece ricca perché è un paese manifatturiero di grandi lavoratori risparmiatori e di proprietari di case. Infatti, la nostra ricchezza mediana per adulto (di quell’individuo, cioè, che divide esattamente in due la popolazione adulta) assomma nel 2010 a 115mila dollari (contro i 157mila della Norvegia e i 124mila dell’Australia). Una cifra che permette all’Italia di surclassare tutte le altre maggiori economie avanzate. Nel G-7 il Giappone, che presenta la ricchezza mediana per adulto più alta dopo la nostra, è ben distaccato a quota 103mila dollari, seguito dal Canada con 95mila, dalla Gran Bretagna con 79mila, dalla Francia con 67mila e dalla Germania con 59mila. Chiude la graduatoria il paese che per Pil pro capite dovrebbe essere uno tra i più ricchi del mondo, gli Stati Uniti, che però può vantare solo 48mila dollari di ricchezza mediana per adulto, cioè un valore che è poco più del 40% di quello italiano.
L’Italia eccelle anche nella classifica dei debiti delle famiglie, avendo il più basso debito medio per adulto tra i paesi del G-7, pari a 21.800 dollari, contro i 30.400 dei tedeschi, i 32.300 dei francesi, i 41.600 degli inglesi, i 41.700 dei giapponesi e i 55mila dei canadesi. Anche in questa classifica gli Stati Uniti sono all’ultimo posto, con ben 60.500 dollari di debiti per adulto, cioè un valore quasi triplo di quello medio italiano.
Tutti i dati citati provengono da un monumentale studio su 160 paesi promosso dal Credit Suisse Research Institute, pubblicato a fine ottobre e intitolato Global Wealth Report, a cui hanno lavorato i massimi esperti mondiali in materia di ricchezza: Anthony Shorrocks che è stato direttore del World Institute for Developments Economics Research dell’Università delle Nazioni Unite di Helsinki dal 2001 al 2009 e Jim Davies della University of Western Ontario, entrambi già tra i principali autori di Personal Wealth From A Global Perspective (Oxford University Press, 2008).
La ricchezza delle famiglie, in generale, è molto più concentrata di quanto non lo sia il reddito nelle fasce più abbienti della popolazione. Per questo motivo la ricchezza mediana è un indicatore assai più significativo della ricchezza media, in quanto fornisce un’indicazione sia del livello di diffusione del benessere sia della capacità complessiva di un paese di sopportare senza traumi sociali dei forti shock esterni come, ad esempio, una crisi planetaria come quella che stiamo vivendo. Dunque le stime del Credit Suisse Research Institute sulla ricchezza privata dell’Italia mettono in evidenza una delle ragioni, assieme alla rigorosa linea sui conti pubblici tenuta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, per cui il nostro paese si è rivelato più robusto e coeso di molti altri in questi ultimi due anni, al di là di ciò che dicono i semplici dati sul Pil.
L’Italia, nelle graduatorie dello studio di Shorrocks e Davies, eccelle in molti indicatori. In termini assoluti presenta la settima ricchezza media pro capite al mondo (e la seconda del G-7 dopo la Francia, dove la ricchezza è però più concentrata che da noi). Per ricchezza pro capite ci precedono, nell’ordine: Svizzera, Norvegia, Australia, Singapore, Francia e Svezia. L’Italia stacca gli Stati Uniti di oltre 11mila dollari. E vanta anche la decima ricchezza media per adulto del mondo.
Ma è soprattutto negli indici di equi-distribuzione della ricchezza che l’Italia emerge in modo clamoroso nelle classifiche internazionali, confermando le indicazioni già emerse da altre precedenti ricerche pionieristiche, come, ad esempio, quelle del Luxembourg Wealth Study. Infatti, in base ai dati di Shorrocks e Davies, l’Italia è il primo paese al mondo per la più bassa percentuale di popolazione adulta con una ricchezza inferiore ai 10mila dollari (solo il 3% degli adulti contro, ad esempio, il 27% degli Stati Uniti). Inoltre, presenta, assieme al Giappone, l’indice di Gini di concentrazione della ricchezza più basso del G-7 ed è il secondo paese del G-20 dopo l’Australia sia per ricchezza mediana sia per percentuale di adulti che possono contare su oltre 100mila dollari di patrimonio (il 56% degli adulti italiani contro il 36% degli Stati Uniti).
L’Italia insidia alla Germania il terzo posto al mondo dopo Stati Uniti e Giappone per numero assoluto di adulti con una ricchezza personale superiore ai 100mila dollari: in Italia sono 27 milioni mentre in Germania sono 27,9 milioni. Ma la Germania ha 22 milioni di abitanti più dell’Italia e una ricchezza mediana che è solo poco più della metà della nostra, dimostrandosi dunque molto meno granitica nel campo del patrimonio delle famiglie di quanto non lo sia nell’industria. Gli adulti con oltre 100mila dollari di ricchezza sono invece 21,9 milioni in Gran Bretagna, 18,7 milioni in Francia e 17,5 milioni in Cina (dove sono già 805mila i milionari).
L’ultimo decennio ha fatto registrare il fallimento del liberismo sfrenato che faceva crescere il Pil a colpi di debiti sotto l’impulso di servizi che, più che avanzati, alla fine si sono rivelati, per così dire, "avariati", come i nefasti prodotti che essi hanno generato: dai mutui subprime ai ninja, ai derivati eccetera. Dopo lo scoppio della "bolla" immobiliare e finanziaria, non a caso, la ricchezza è letteralmente crollata nei paesi che più hanno abusato dell’indebitamento per sospingere il reddito e l’occupazione. La ricchezza ha invece "tenuto" nei paesi "formica" come Germania e Italia.
I dati di Shorrocks e Davies sono chiari. Nel 2010 la ricchezza media per adulto in dollari a tassi di cambio costanti, rispetto all’anno di picco pre-crisi, è ancora inferiore del 29% circa in Spagna e Irlanda, del 19% circa in Grecia e Olanda, del 10% in Giappone e del 7% in Gran Bretagna. La ricchezza delle famiglie è invece diminuita solo dell’1,5% in Canada, del 3,8% in Italia e del 4,8% in Germania. Il paradosso reddito-ricchezza è che i paesi che sono cresciuti di più negli anni scorsi in termini di Pil sono diventati più poveri in termini di patrimonio e, in aggiunta, hanno oggi tassi di disoccupazione molto elevati.
Sicché è vero che il Pil italiano nel 2009 è tornato indietro (principalmente per la caduta dell’export) ai livelli del 2001 mentre quello statunitense è arretrato solo ai livelli del 2005, ma la ricchezza delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile ha già recuperato la modesta caduta subita durante la crisi ed è oggi ai massimi storici mentre quella americana è precipitata ai valori del 1994. Inoltre, il tasso di disoccupazione in Italia è tornato ai livelli del 2004 mentre negli Stati Uniti si è riportato su quelli massimi del 1983.
I dati sulla ricchezza forniscono non solo lezioni sul recente passato ma anche indicazioni sulla sostenibilità futura dei debiti pubblici molto più significative del consueto rapporto debito/Pil. Infatti, se rapportiamo la ricchezza netta delle famiglie stimata da Shorrocks e Davies per il 2010 al debito pubblico su Pil previsto dall’Fmi per il 2012 (anno di picco atteso per l’Italia), scopriamo che il grado di "copertura" del debito pubblico italiano assicurato dalla ricchezza privata è il più alto assieme a quello della Germania (la ricchezza, cioè, copre oltre 4,3 volte il debito). In una posizione intermedia ma in costante deterioramento si collocano Stati Uniti e Spagna, mentre molto bassa è la solvibilità dei paesi più esposti come Irlanda e Grecia. Dunque l’Italia non è a rischio in base ai fondamentali patrimoniali. Il che non significa, però, che non debba fare il possibile per tagliare il suo debito pubblico e la sua spesa improduttiva.