MARK FRANCHETTI*, La Stampa 15/11/2010, pagina 1, 15 novembre 2010
Russia, il massacro dei reporter scomodi - Il filmato offuscato girato da una telecamera di sicurezza mostra Oleg Kashin, stimato giornalista di uno dei migliori quotidiani russi, mentre rincasa a piedi
Russia, il massacro dei reporter scomodi - Il filmato offuscato girato da una telecamera di sicurezza mostra Oleg Kashin, stimato giornalista di uno dei migliori quotidiani russi, mentre rincasa a piedi. È sabato sera, il 6 di novembre. Un uomo che porta un mazzo di fiori improvvisamente si ferma di fronte a Kashin e gli sferra un pugno sulla faccia, facendolo cadere a terra. L’aggressore poi tira fuori una spranga di ferro nascosta tra i fiori mentre un altro uomo lo affianca e inchioda a terra il giornalista. Seguono almeno 40 colpi assestati selvaggiamente con la spranga. L’aggressore colpisce Kashin metodicamente e brutalmente su tutto il corpo. Priva di ogni possibilità di difendersi, la vittima viene abbandonata esanime in strada. (http://www.lifenews.ru/news/42779) A una settimana dal feroce attacco, Kashin, che aveva apertamente criticato alcuni funzionari russi e aveva scritto in merito alla controversa proposta di abbattere una foresta per costruire una redditizia autostrada per San Pietroburgo, si trova in coma indotto da farmaci. Ha subito un grave trauma cranico e fratture multiple, alle mascelle, a una gamba e a diverse dita. In Russia il suo caso ha sconvolto molti ed è stato duramente condannato dal governo e dal Cremlino. Ma molto più inquietante della terribile sorte subita da Kashin è che nella Russia di oggi quello che è successo a lui sta diventando la norma. A quasi vent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica, oggi la Russia è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti. Dal 2000, poco dopo l’ascesa al potere dell’attuale primo ministro russo Vladimir Putin, nel Paese ci sono stati 19 omicidi irrisolti di giornalisti, oltre a decine di brutali pestaggi. Solo quest’anno sono già stati ammazzati otto giornalisti. In quest’ultima settimana altri due sono stati ferocemente aggrediti. Le due vittime più famose di questa tragica caccia ai miei colleghi sono Anna Politkovskaya e Paul Klebnikov. La prima era una tra le più stimate giornaliste investigative russe, che aveva scritto molto sui crimini e sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia. Fu uccisa quattro anni fa, il 7 ottobre, giorno del compleanno di Putin. Il secondo, il direttore americano dell’edizione russa della rivista economica Forbes, fu ucciso due anni prima. Il Cremlino ha più volte promesso di consegnare gli assassini alla giustizia, ma nonostante due processi di alto profilo entrambi gli omicidi restano irrisolti. Conoscevo la Politkovskaya e incontrai Klebnikov per la prima volta a una lunga cena a Mosca appena cinque giorni prima che fosse ucciso. Non sta a me suggerire quello che potrebbero pensare, ma l’istinto mi dice che non sarebbero sorpresi di sentire che i loro assassini sono ancora liberi. Non c’è prova che il Cremlino abbia avuto un ruolo in uno qualsiasi di queste aggressioni o omicidi. Ma la leadership russa, non riuscendo mai a risolvere questi crimini, è responsabile per la cultura di impunità che ha creato. Ogni delitto, ogni aggressione viene fortemente condannata. Vengono fatte promesse, aperte inchieste e persino vengono celebrati processi. Ma le condanne sono rarissime. Il messaggio per chi prende di mira i giornalisti non potrebbe essere più chiaro - si può dare la caccia ai reporter troppo curiosi. In fondo ricorrere alla violenza per farli tacere comporta un rischio minimo di essere arrestati. Qualsiasi forma di seria indagine giornalistica è diventata estremamente pericolosa per i giornalisti russi. Svelare la corruzione, rivelare traffici loschi, o anche criticare apertamente un funzionario statale è potenzialmente troppo rischioso. L’elenco delle persone e delle organizzazioni che i giornalisti fanno meglio a lasciare in pace non ha fine. Il presidente russo Dmitry Medvedev ha promesso di portare gli aggressori di Kashin in tribunale «anche se venisse fuori che sono alti funzionari statali» - un chiaro riconoscimento di ciò che la maggioranza dei russi sa fin troppo bene: che molti funzionari in Russia dovrebbero essere dietro le sbarre e non al potere. Basta parlare con chiunque sia abbastanza al corrente delle indagini sul brutale omicidio, avvenuto 18 mesi fa, di Natalia Estemirova, un’impavida attivista e giornalista che si batteva per i diritti umani in Cecenia, che è stata rapita, uccisa e gettata in un campo. E sentirete che la giustizia viene ostacolata in quanto gli indizi portano alle autorità locali. Una delle piste nel caso di Kashin riguarda la grande battaglia su un bosco a Khimki, una cittadina alla periferia di Mosca, che dovrebbe venire raso al suolo per costruire un’autostrada. Gli ambientalisti e molti altri gruppi critici del governo si sono aspramente opposti al progetto. In quella che appare una vittoria di Pirro, il progetto è stato temporaneamente sospeso da Medvedev. Data la grande corruzione che affligge il settore delle costruzioni e i governi locali in Russia, le somme in gioco sono enormi. L’attacco contro Kashin può essere o no stato provocato dalla sua attenzione alla polemica su Khimki. Ma con ogni probabilità non lo sapremo mai. La violenta aggressione a Mikhail Beketov, tuttavia, è quasi certamente collegata a Khimki dove il 52enne pubblicava un giornale locale di opposizione che accusò il sindaco di Khimki, Vladimir Strelchenko, di corruzione. Beketov è stato aggredito e picchiato brutalmente due anni fa. Da allora ha subito otto operazioni, compresa l’amputazione di tre dita e della parte inferiore di una gamba, e un intervento per estrarre schegge del cranio frantumato dal suo tessuto cerebrale. Non può più parlare ed è condannato a vivere su una sedia a rotelle. E i suoi aggressori? Sono ancora a piede libero. Beketov invece? Con scioccante cinismo mercoledì 10 novembre l’ex giornalista è stato giudicato colpevole da un tribunale di Khimki per aver diffamato Strelchenko ed è stato multato di 120 euro. Medvedev dirà pure tutte le cose giuste, ma il caso Beketov è la realtà russa. E fino a che le parole del Cremlino non saranno seguite da azioni, la Russia diventerà sempre più pericolosa per i giornalisti che cercano solamente di fare il loro lavoro. * Corrispondente da Mosca del Sunday Times di Londra