Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 15 Lunedì calendario

IL WELFARE DEI GIOVANI È LA FAMIGLIA - ROMA

Dove hanno fallito governi, parlamenti e summit internazionali, ha potuto la famiglia. L´unico, vero ammortizzatore sociale che ha difeso come uno scudo gli italiani dai colpi della crisi economica globale. Soprattutto sul fronte del lavoro, come certifica uno studio della Banca d´Italia che, dati alla mano, fotografa un modello sociale efficace ma nello stesso tempo ricco di controindicazioni. «Quanto a lungo la famiglia avrà la capacità di attutire gli shock negativi? - si chiede l´istituto centrale - In secondo luogo, è equo questo modello sociale? Affidare alla famiglia un ruolo vicario rispetto alle politiche pubbliche significa ammettere che vi è una rete di protezione differenziata a seconda della famiglia d´origine». E poi quella ipoteca sul futuro del nostro Paese che fa della famiglia una sorta di gabbia, di freno generazionale: «La maggior dipendenza dalla famiglia d´origine limita la capacità dei giovani di proseguire progetti di vita autonomi, la loro partecipazione economia e sociale, la loro propensione ad abbandonare la condizione di «figlio» e assumere il ruolo di genitore. Questi sono costi per i singoli e per la collettività che nessuno ha ammortizzato». Insomma, l´ennesima constatazione che questo non è un paese per giovani e che, di fronte alla crisi, sono i padri ad aiutare i figli.
La ricerca dell´ufficio studi di Bankitalia calcola il cosiddetto jobless households rate, vale a dire la quota di famiglie nelle quali tutti i componenti sono senza lavoro, rispetto al totale delle famiglie. «Dai nostri risultati emerge che in Italia la quota di jobless households è più contenuta rispetto agli altri principali paesi europei. Ciò dipende dalla minore presenza di famiglie con un solo componente in età di lavoro (la tipologia a maggior rischio non-occupazione) e potrebbe segnalare una più accentuata tendenza degli italiani a vivere in famiglie «allargate» (con più adulti oltre al capofamiglia e al coniuge) e a costruire un nucleo familiare solo se occupati». Nel 2009 le jobless households erano oltre 2,5 milioni, circa il 15% della popolazione di riferimento e i minori che vivevano in tali famiglie erano oltre 750mila. Per effetto della crisi, il numero dei nuclei completamente privi di lavoro è cresciuto di quasi il 10% rispetto all´anno precedente con un aumento dell´incidenza sulla popolazione di riferimento di oltre mezzo punto percentuale. All´aumento del numero di jobless households si è affiancato quello delle famiglie con un solo adulto occupato (+2,2%), mentre si è ridotto il numero di quelle con almeno due adulti occupati (-3,3%). «Questi risultati - spiega Bankitalia - indicano che gli effetti della crisi sul mercato del lavoro sono stati parzialmente ammortizzati dalla famiglia».
In tale contesto, inoltre, si ribadisce il fenomeno tristemente inedito di un Paese dove i figli non possono guardare a prospettive socio-economiche migliori rispetto a quelle dei genitori: tra il 2008 e il 2009 il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni è calato di 1,2 punti percentuali e questa flessione è ascrivibile ai figli per 0,9 punti e ai capifamiglia per solo 0,3. «In altri termini, nonostante i figli rappresentino circa un quinto del totale degli occupati, hanno contribuito per quasi il 70% alla variazione negativa del tasso di occupazione complessivo». Secondo Bankitalia, dunque, la crisi ha colpito prevalentemente i giovani che vivono in famiglia, «mentre l´occupazione dei capofamiglia ha mostrato segnali di maggiore tenuta. Tali risultati riflettono non solo la maggiore incidenza dei contratti di tipo precario tra i giovani, ma anche un sistema di protezione del lavoro che favorisce chi ha contratti di lavoro più stabile, prevalentemente del settore industriale, e che di fatto risulta fortemente segmentato su base generazionale».
E infine due tendenze che rappresentano ormai la cifra del nostro Paese: i ritardi del Sud e la diffusione del precariato. Nel Mezzogiorno l´indicatore delle famiglie a zero lavoro è superiore di dieci punti percentuali rispetto al Centro Nord: «Ciò riflette anche le diverse strutture familiari tra le due aree. Nelle regioni meridionali è, infatti, significativamente inferiore la quota di famiglie con almeno due occupati e, pertanto, è maggiore la probabilità di diventare una jobless household in conseguenza di uno shock negativo». E ancora: «La caduta dell´occupazione - sottolinea Bankitalia - ha riguardato prevalentemente i lavoratori atipici (contratti a termine e collaboratori) e si è manifestata soprattutto attraverso una contrazione delle assunzioni piuttosto che in un aumento dei licenziamenti. Di conseguenza, ne hanno risentito maggiormente i giovani che si sono affacciati sul mercato del lavoro in una situazione in cui la domanda è bruscamente crollata e quelli che erano occupati con contratti di lavoro atipici».