MICHELE SMARGIASSI, la Repubblica 14/11/2010, 14 novembre 2010
OFFICINA MANARA
Le veneri di Milo sono sogni adolescenziali, fatine erotizzate della buonanotte, ectoplasmi d´inchiostro, ninfe impossibili. Ma cercano disperatamente di esistere. «A Copenaghen c´era un festival del fumetto, si presenta una ragazza col poncho e mi fa: vede? Sotto sono nuda. Mi disegna?». Nelle lunghe file che si formano davanti a Milo Manara quando autografa i suoi libri, le ragazze sono la maggioranza. L´avreste detto? «E tutte vogliono il disegnino, e tutte dicono: somiglio a quelle che disegna lei, non mi vede?». Ma il problema non è che esistano, nel mondo, donne che sembrano uscite dalle sue tavole a fumetti, «anzi ce ne sono anche più belle delle mie». No: il problema è che vogliono entrarci, nei suoi fumetti. «Ricevo pacchi di fotografie anche da persone illustri, non le dirò chi. Foto anche un po´ imbarazzanti delle loro mogli. Vogliono che le trasformi in un mio disegno».
Il grande Pigmalione finisce di incenerire l´avana passeggiando nel giardino della sua villa, un balcone sulla piana veronese. La signora Luisa serve il caffè: «No, non sono gelosa delle donne disegnate da Milo: sono di carta», poi scocca un´occhiata al marito: «ma è meglio che non s´incarnino...». Come quel giorno, quando al cancello apparvero due stupende nordiche chiedendo eccitate se «il maestro» era in casa, «e Luisa le mandò via senza neanche avvertirmi». Ride: «Non so, è una sorta di miracolo. Mi prendono per una specie di guru dell´erotismo, un raffinato seduttore, un sessuologo... Mi chiedono consigli incredibili... Io rispondo: guardate che non so niente dei segreti delle donne, io le disegno soltanto».
Lo fa da quarant´anni. Quando cominciò, le sue "donnine" erano sue coetanee; ora lui ha passato i sessantacinque, ma loro restano sempre giovani. Nel suo studio-mansarda, alcune lo aspettano pazienti sul tavolo da disegno, ancora in déshabillé, cioè tracciate solo a matita. Provocanti, maliziose, sfrontate, chiedono di essere truccate a penna e vestite solo di un colpo di acquerello. È qui, in questo ritiro luminoso ma stipato di carte, libri e statuette del Buddha, che Manara ha fabbricato tutte le sue creature, è qui che ha forgiato l´immaginario maschile di una generazione. Radio sintonizzata su Radiotre, classica e buon rock «dei gusti miei, un po´ arretrati: Zappa, Emerson Lake and Palmer». Nessun telefono: «Quando squillava, sobbalzavo: non è bello sobbalzare mentre disegni. Per fortuna hanno inventato le email». Non chiede altro alla tecnologia. «Non uso il computer neanche per colorare. Molti colleghi lo fanno, li ammiro, ma io sono un artigiano». Prende una biro e comincia una figura di donna: dal volto, naturalmente, «è il volto che fa la differenza. Una gamba, in fondo, è sempre una gamba». Per la precisione inizia sempre dall´occhio destro, «non so perché, ma se parto dal sinistro non mi viene». Maestro: ma, una biro? «Che c´è di male? Sono ingiustamente bistrattate dagli artisti, le biro. Sono più veloci della china, sono morbide e docili».
La mano corre sul cartoncino. È un realizzatore veloce, Manara. «Dev´esserci un rapporto fra tempo di produzione e tempo di lettura. Le mie storielle saranno lette dal ragazzo che le compra all´edicola della stazione e le infila nello zaino, bruciate in mezz´ora di treno, devono avere lo stile da mezz´ora. Altra cosa sono le opere...». Ha appena finito il terzo volume dei Borgia, dove l´attenzione per i dettagli è degna di un maestro olandese del Seicento. Ora prepara una versione dell´America di Kafka, poi la biografia di una modella del Caravaggio, e ancora una serie di cartoni animati scritti da Adriano Celentano e interpretati da un suo alter ego disegnato. Però non si offenda, maestro, ma quando uno compra Manara... «Non mi offendo. Io so cosa si aspetta il mio lettore da me, e francamente mi spiacerebbe deluderlo. Ma i dettagli sono erotismo, proprio come un corpo di donna, e glielo dimostro». Toglie da uno scaffale un volume dei Maestri del colore, apre: «Ecco, questa è la Venere di Dresda del Giorgione. Lei vede una splendida donna nuda, vero?, ma quel che conta sono le pieghe del lenzuolo che si piega sotto il peso del corpo. Ecco: nei miei disegni, se una donna è seduta su una sedia dev´essere una sedia vera, una sedia dove ci si può sedere, la migliore delle sedie disegnabili. Perché ci vuol poco a fare un fumetto pornografico: basta una sequenza di corpi nudi. Ma l´erotismo sta attorno. Certo», chiude il libro con un sorriso ironico, «non mi aspetto di essere ricordato come "quello che disegna delle magnifiche sedie". Ma se il mio successo ha un segreto, sta lì».
Quando negli anni Settanta cominciò disegnando gli albi pruriginosi di Jolanda, le cose non stavano ancora così. Diplomato al liceo artistico, studi di architettura non finiti, negli anni in cui andava a Venezia a contestare la Biennale «dell´arte dei padroni» decise di dare un calcio ai pennelli, e dipinse quel calcio. Ce l´ha appeso in un corridoio quell´autoritratto mentre assesta (con una rivoluzionaria scarpa rossa) una pedata a una mucca, metafora della tramontata pittura dal vero. E cominciò a creare sogni conturbanti. «Jolanda non la considero una cosa mia, era un lavoro commerciale. Ma le sono grato, mi ha insegnato il mestiere, mi ha fatto conoscere i grandi. Grazie a lei conobbi Pratt a un festival del fumetto». Pratt e Fellini, i suoi numi tutelari. «Ancora oggi, mentre disegno, sono sulla mia spalla che mi guardano e mi criticano». Posso immaginare. Fellini non aveva i suoi gusti in fatto di bellezza femminile. «Invece sì. Ai tavolini del caffè Canova in Piazza del Popolo guardavamo le passanti, e i nostri "voti" coincidevano. Le donne "felliniane" erano quelle dei suoi ricordi deformati d´infanzia, ma nei suoi film c´erano anche donne che avrei potuto disegnare io, come la Cardinale».
Ecco vede. Dunque le sue donne da qualche parte esistono. Chi l´ha ispirata? Dicono che Miele, la sua più celebre eroina, è Kim Basinger... «Forse... A volte mi ispiro a donne vere, sì. La Kidman è una giornalista perfida nel fumetto che ho fatto con Valentino Rossi. Ma non penso solo alle attrici. Per esempio, alcune giornaliste dei tigì...». Lei disegna sempre il suo ideale di donna? «Se devono sedurre il lettore, prima devono sedurre me. Ma non si faccia strane idee. Quando lavoro, ho la stessa attitudine per il corpo femminile di un chirurgo. Anche perché disegnare è fatica, una fatica fisica, da artigiano, e la fatica mal si concilia con l´abbandono erotico. Se il disegno funziona, lo scopro solo alla fine, quando lo guardo allo specchio, per vederlo come se non l´avessi fatto io».
Sulla parete del suo "Vittoriale", incorniciata, una lista dei libri proibiti nel Sud Africa dell´apartheid: ci sono anche i suoi. «Censori ma non scemi. Non vietavano le storie erotiche, ma Giuseppe Bergman che è un inno al viaggio e alla libertà». È curioso quante poche noie, in fondo, Manara abbia avuto dalla censura e perfino dalle femministe. «Una sera a Siena affrontai un collettivo. Finì bene, ammisero che anche a loro l´erotismo piace, e che le mie donnine in realtà non sono affatto remissive». Anche Claire Bretécher, fumettista femminista francese, gli confessò: «Detesto i nudi, ma per i tuoi faccio un´eccezione». Del resto, a Verona le suore gli chiesero un affresco per l´asilo, e i frati Stimmatini il progetto di un monumento al fondatore san Gaspare. «Il vero peccato non è amare il corpo femminile. È farne un attributo del potere».