Eva Spampinato, Novella 2000, n. 46, 18/11/2010, pp. 18-23, 18 novembre 2010
Nadia Macrì «era come una dipendente dell’amica [Perla Genovesi, ndr]. Lei spesso mi mollava e si trasferiva da lei
Nadia Macrì «era come una dipendente dell’amica [Perla Genovesi, ndr]. Lei spesso mi mollava e si trasferiva da lei. Ma poi litigavano e io andavo a Parma per riportarla a casa, a Reggio Emilia. Mi avevano anche minacciato, loro due, dicevano che me l’avrebbero fatta pagare perché avevo portato via a Nadia nostro figlio. Sapevo che quell’amica era pericolosa. Una sera, era il 2002, eravamo tutti insieme, all’Old Fashion, la discoteca di Milano, Nadia si allontanò con lei per andare in bagno e poi scoprì che aveva dato il suo numero a delle persone. Di notte il telefono di Nadia fu preso d’assalto da chiamate e messaggi» (Toni Di Bella, ex marito di Nadia Macrì). *** Il figlio vive con lui a Gela, in Sicilia, assieme ai nonni paterni. Toni ha chiesto il divorzio da Nadia nel 2007. «In questi tre anni, lei non si è mai fatta sentire. Non sa neanche che scuola frequenta. Neanche ora, dopo lo scandalo, ha avuto la delicatezza di chiamare il figlio». Si erano sposati il 14 febbraio 2004 a Reggio Emilia. «Ci siamo conosciuti nel Natale del 2000 e fu colpo di fulmine. Mi raccontò dei suoi problemi familiari e io la presi a cuore. Dopo un mese andammo a vivere assieme e lei smise di lavorare in discoteca. Nadia mi è costata 400 mila euro. Ho venduto la casa di mio nonno per acquistare il bar e la profumeria dove lavoravano insieme e i miei parenti mi prestarono altri soldi. Un pomeriggio lei riuscì a spendere 18 mila euro facendo shopping. E il bar non era ancora aperto. Io le davo tutto, le avevo dato la gestione dei negozi, e campavo con 50 euro al giorno. Ma lei mi riempì di debiti. Nel 2003 rimase incinta e nel 2004 ci sposammo. Il giorno della nascita di J. fu un delirio. Nadia prima di partorire fu cacciata da cinque ospedali, tra Reggio Emilia, Modena e Mantova, perché si comportava male con tutti, era irascibile, non si faceva avvicinare, le infermiere si spaventavano persino a portarle il cibo. Arrivò anche a scagliarmi addosso una flebo. Per partorire dovemmo arrivare fino a Mantova, ma dopo il parto fui invitato dal primario ad andare via perché non la volevano nel loro reparto».