[1] Azzurra Della Penna, Chi, n. 46, 17/11/2010, pp. 72-80; [2] Azzurra Della Penna, Chi, n. 47, 24/11/2010, pp. 68-76, 17 novembre 2010
ULTRA CAFONAL – PARLA L’IMMAGINE
Esegeta del nulla con senso del (sur)reale), Roberto D’Agotino, a 62 anni, fa i tre piani di casa sua senza fiatone: «So’ vecchio», dice. L’occasione dell’incontro è l’uscita di Ultra Cafonal, secondo volume illustrato, a firma Pizzi & Dago. «Venga, venga che guardiamo il libro». Ascesi al superattico, ci si piazza davanti al computer, lui su una poltrona presidenziale con vista a 360 gradi sui tetti di Roma («”Un cimitero che scoppia di salute”, così la chiamò Fellini»), il cronista, invece, su sgabello di plastica a forma di nano. Con vista sul bordo dei tavolo. È la postazione del fotografo Umberto Pizzi? «Io con lui sono tremendo, lo tratto male», ride Dago, mostrando i dentini. Pizzi rilancia in romanaccio spinto: «Io a te meno te vedo e mejo sto». Più che un’intervista sarà un incontro di wrestling? Già Dago sfoggia un paio di aggressive-jeans con due mani scheletriche disegnate sulle tasche. «É solo una cosetta da punk-rocker», dice.
Domanda. Pardon, ma a uno che nasce “Iookologo” bisognerà pur fare le pulci...
Dago. «Ma perché, vede, l’abito non mostra mai quel che uno è, ma quel che uno vorrebbe essere. IO volevo essere Mick Jagger, anzi no, Keith Richards, con i miei teschi, i miei pantaloni, queste cose qua. E ho pure provato a cantare da giovane… niente, sono un fallito che, come tanti, è costretto a fare altro “pe’ campà”. Del resto, si dice che l’arte sia 10 per cento ispirazione e 90 per cento traspirazione. Io da ragazzo non avevo tempo di applicarmi, dovevo lavorare».
Pizzi: «Roberto è un rompiballe, ma è un lavoratore».
D. Fu bancario per ben 12 anni, giusto?
Dago. «Sì, mio padre faceva il saldatore, mamma la bustaia e cuciva i reggipetti per l’amante di un ministro socialdemocratico. Fu quella signora ad aiutarmi a trovare il posto, per me significavano sedici mensilità». (A proposito di lingerie, sul video scorrono immagini di mutandate e, soprattutto, smutandate. I titoli? Da campionato mondiale del calembour: "Scarpe Diem", "Burka-Tini alla romana", "La classe digerente"...).
Pizzi. «Eccola! Le foto mi piacciono tutte, ma questa è fra le mie preferite. Vede? C’è Andreotti con la moglie, alle loro spalle una danzatrice del ventre. E Donna Livia pare che dica: "A, Giulio, ma ‘ndo m’hai portato?"».
D. Vi siete assuefatti allo strano ma vero?
Dago. «Macché, io mi sorprendo sempre. Anzi, in alcuni casi proprio non credo a quel che vedo e dico a Pizzi: "La prossima volta vengo pure io, voglio controllare"»
D. Natalia Aspesi le domanda nell’introduzione se, nel fare queste raccolte, "vuole punirci".
Dago. «Io non sono moralista, sono curioso. E poi è un contributo, perché rimanga qualcosa. Nel volume ho scritto: "È per quegli utenti futuri che domanderanno e rinfacceranno: "Ma voi dove eravate? Cosa facevate? E cosa avete visto?"».
D. Per quel che ne sapete, c’è qualcuno che, rivedendosi con la bocca piena o appisolato, denudato o abbarbicato, s’è dato una regolata?
Dago & Pizzi. «No».
Pizzi. «Aspetta, però, qualcuno è morto».
D. Maria Angiolillo?
Dago. «Ci manca. Quando abbiamo fatto il primo libro, a Natale scorso, ho portato un banchetto per vendere le copie davanti casa di Mariasaura. E poi mi manca anche Cassiga».
D. Vi è capitato di autocensurarvi?
Dago. «No, di rado cambio qualche foto perché uno non si piace: lo specchio è la più grossa menzogna che abbiamo inventato».
D. Torniamo al libro. Che cosa c’è di diverso fra quello dell’anno scorso e questo?
Pizzi. «Il primo era un po’ romanocentrico, ora c’è tutta l’Italia e il Cafonal lo trovi a ogni latitudine».
Dago. «Sì, l’assalto al buffet è lo stesso ovunque. E che altro c’è? Il precedente, sui primi otto anni di Dagospia, era un po’ inzeppato di avvenimenti, fatti, personaggi. Con questo, invece, volevo fare una sorta di romanzo fotografico che, in corso d’opera, si è trasformato in "fotto-romanzo". Se c’è il romanzo di formazione, il racconto di come da ragazzi si diventa adulti, c’è questo che racconta di come da adulti si diventa sfatti».
D. Il romanzo della decomposizione?
Dago.«Da un lato. Dall’altro, però, dalle 600 pagine vien fuori un Paese vitale e straordinario, perché anche nel suo male, nel suo peggio, ha capito che essere Cafonal è un modo per sopravvivere ed esistere. La cosa fondamentale è che siamo diventati tutti personaggi e la "statizzazione" di massa ha colpito in maniera tanto selvaggia che ha distrutto il divismo. Siamo al paradosso di Warhol: fra paparazzate e intercettazioni, in futuro avremo tutti 15 minuti di anonimato».
Prima puntata - Continua
[1]
***
Il 16 novembre arriva nelle librerie “Ultra Cafonal”, il secondo volume illustrato a firma di Roberto D’Agostino e del fotografo Umberto Pizzi (600 pagine, Mondadori). È un "viaggio in Italia” fra happening e vernissage (e qualche sagra) per segnalare tic e sfondoni di personaggi noti (e non). Il libro, disponibile anche in versione digitale per iPad, sarà presentato il 18 novembre presso l’Auditorium di Roma, dove, in contemporanea, si inaugura la mostra C’era un volto. Umberto Pizzi: fotografie 1965-2010.
[1]
***
ULTRA CAFONAL – VIA COL VANTO
Una grande foto, un metro e mezzo, il cui soggetto è Mao Tse Tung, o meglio, i suoi contorni che si perdono nelle nebbie. L’immagine fa bella mostra di sé nel soggiorno di Roberto D’Agostino che, nella sua sfavillante dimora romana, si fa guida, meglio, Virgilio di ogni opera d’arte, arredo e suppellettile (e a chi fa cadere un ninnolo subito dice minaccioso: «Uè, guarda che non ti invito più»).
«È bella quella foto, vero? L’ha fatta un’artista cinese. Vede, è una rappresentazione del potere. Il potere è così: inafferrabile nella sua sostanza».
Non si può dar torto a Dago (e a Pizzi) almeno se si scorrono, una via l’altra, le immagini contenute nel nuovo libro, appena giunto in libreria, che firmano insieme: Ultra Cafonal, dove si cristallizzano tic e sfondoni dei poteri forti o, come li chiama Dago, dei “Poteri Sfatti”. Sfogliando il volume, 600 pagine, ci si ferma su quelle che riguardano la prima visita ufficiale del Papa Benedetto XVI nella Sinagoga della capitale. Politica, imprenditoria, firme prestigiose, ci sono tanti... «No, ci sono tutti perché nessuno voleva e poteva mancare a quell’appuntamento. Ma scherziamo?», Roberto D’Agostino spalanca gli occhioni.
Domanda. In effetti, a guardare l’opera nella sua interezza viene da chiedersi "Perché". Perché denudarsi? Perché andare a una sorta di Oktober Fest alla romana? Perché presentarsi con il seno che straborda? Ma lei, almeno, ha le risposte?
Dago. «Io? Macché. Certo, se una indossa le scarpe a forma di fiore è ovvio che, a un certo punto della serata, metterà i piedi sul tavolo. Ma tutte le risposte no, non le ho. Per esempio, tutti, quando si trovano davanti a un buffet, fanno bocconi enormi. Ma come mai? C’è un trittico di Montezemolo nel libro che io amo. Lui sta a un tavolino del Posta a Cortina e divora in un solo boccone una brioche. Poi sfoglia, con vera eleganza, l’Herald Tribune».
D. Parliamo di donne...
Dago. «Ecco sì, come sono queste femmine?».
Pizzi. «Ecco sono così: guardi qua (punta il ditino sulla foto di una tizia). Questa qua si copre la faccia, ma, siccome alza le gambe, mette in mostra le cosce e il fondoschiena».
Dago. «Quello che mi colpisce delle donne è la nuova leva, le stagionate, quelle, vabbé, hanno una vita alle spalle, capisco che abbiano pure una pelle da rinoceronte. Ma ritrovare quel cinismo, quel disincanto nelle ragazze, questa non è una generazione, è una degenerazione. E io mica me la prendo con il fatto che vanno in giro senza mutande e con la gonna corta, una può anche sentirsi o essere Lady Gaga, è il deficit culturale: non un libro letto, né un giornale sfogliato. È uno scenario post atomico, questa non è l’ignoranza di ritorno, c’è, semmai, continuità, sono i nulla fatti di niente. Andiamo in questi posti, a certe feste, per avere conferme, perché io non ci posso credere che sia finito tutto così. Questo non è il menefreghismo perché non c’è quel "Io conosco i fatti e me ne frego", là i fatti non esistono, punto. Per me hanno deciso che se nella vita non c’è soluzione, allora non esiste il problema».
D. Alleggeriamo? Voi due sarete invitatissimi e in ogni dove. Ci si immagina che vi preghino in ginocchio di andare alle feste. É così?
Dago. «No, capita il contrario. Magari i personaggi sarebbero ben felici di comparire, ma le pierre, quelle tendono a preservare, come dire, il loro prodotto, hanno capito il potenziale, non vogliono che il loro protetto diventi oggetto di...».
D. Di pubblico ludibrio?
Dago. «Ecco, sì, ma non lo volevo dire. Quindi, non fanno mai entrare Pizzi».
D. Eppure si pensa che siate ricercati...
Dago & Pizzi. «Sì, certo, dalla questura».
D. Non avete mai raccontato il vostro primo incontro.
Dago. «Alcuni anni fa incontravo Pizzi spesso, all’epoca uscivo molto, gli chiesi di fare delle foto a gente dell’ambiente finanziario ed economico, lui non li conosceva quei signori lì, ma io gli dicevo: "Tu falli tutti, che poi ci mettiamo i nomi"».
Pizzi. «Io mi ricordo il nostro primo appuntamento nella casa di via Condotti. Entrai nel suo studio, in quell’universo di giocattoli, libri e giornali, e mi resi conto che finalmente avrei potuto pubblicare tutte quelle foto che non avevo ancora fatto, ma che da sempre volevo scattare. E siamo approdati al Cafonal e il Cafonal è cresciuto con noi».
Dago. «Devo sottolineare una cosa su Pizzi, che è un vecchio e come tale ha una cosa che nessun giovane possiede, la capacità di stare ad aspettare due, tre, quattro ore per fare "la Foto". Certe volte penso a lui che sta fuori al freddo e mi viene da dire: ma benedetto vecchietto...».
D. Stagionate, poteri forti, l’attesa davanti alle porte... La foto che ha fatto questo benedetto vecchietto e che apre questo servizio riassume alcune delle cose dette...
Pizzi. «Quella l’ho scattata nella villa di Marisela Federici che si chiama La Furibonda. Con lei, oltre alla Raule e alla Necci, c’è una signora che sembra la Mamy».
Dago. «Quella? Ma è "Via col vento, parte seconda". No, è via e che vergogna».
D. Dago, non è che sarà diventato un moralista?
Dago. «Io? Maddai!».
D. Però qualche certezza, convinzione a fronte di tante feste viste ce l’ha, o no?
Dago. «Forse una: mi sa che siamo davanti alla fine della "Storia", così questo "andare in onda direttamente con la farsa, senza più passare per la tragedia", questo vivere Cafonal, è la più facile e la più sfamante exit strategy che abbiamo trovato».
Seconda puntata - Fine
[2]