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 2010  novembre 15 Lunedì calendario

LE RISORSE DEL MARE


Mare ok

La Terra è chiamata il “pianeta blu” perché il 71% della sua superficie è ricoperto d’acqua. Si calcola che la quantità totale di acqua raggiunga il volume di 13,6 miliardi di chilometri cubi, di cui il 97,2% è costituito dagli oceani e il 2,15 dalle calotte polari.

Dagli oceani si ricavano ricchezze che possono essere valutate intorno ai 21 miliardi di dollari all’anno, contro i 15 della terraferma. La cifra, che include lo sfruttamento industriale delle risorse e anche il valore turistico degli oceani, potrebbe presto raddoppiare con l’aumentare delle conoscenze sugli abissi.

La Giornata mondiale degli oceani si celebra (dal 1992) l’8 giugno.

Il mare è una risorsa in gran parte inesplorata: un litro d’acqua marina può contenere 20mila specie diverse di batteri, di cui la maggior parte sconosciute. Sui rilievi sottomarini che si elevano anche più di mille metri dai fondali, lungo le dorsali oceaniche e nelle fosse più profonde si cela un mondo abitato da organismi che hanno saputo adattarsi ad ambienti inospitali. Per esempio i molluschi “mangiametano” che vivono a ridosso di geyser sottomarini, i gamberi giganti che si ritenevano estinti da 50 milioni di anni, gli squali che vivono a 4mila metri di profondità nel buio totale e gli organismi unicellulari più grandi di una mano.

Il progetto “Census of Marine Life”, durato dal 2000 al 2010, aveva lo scopo di contare tutte le specie viventi che popolano mari e oceani terrestri. Ha coinvolto 2.700 scienziati provenienti da 80 paesi: in dieci anni sono state elencate 230mila specie, di cui 1.200 erano sconosciute. Sono stati scoperti soprattutto crostacei (il 19% delle specie censite), seguiti da molluschi (17%) e pesci (12%), mentre alghe e protozoi rappresentano ciascuno il 10% della biodiversità marina. Gli esperti affermano che il censimento comprende solo il 70% delle specie esistenti.

Gli oceani sempre più spesso vengono scandagliati alla ricerca di risorse minerarie. Ci sono infatti depositi di metalli importanti come manganese e cobalto che, con l’esaurirsi delle miniere continentali (e il prezzo di mercato in vertiginosa risalita), iniziano ad attrarre parecchio interesse. Ci sono poi i depositi di gas, come il metano (in forma liquida a oltre 800 metri di profondità), le cui riserve potrebbero coprire il fabbisogno dell’umanità per i prossimi 100 anni. Infine c’è la frontiera del “bioprospecting”: l’esplorazione dei fondali oceanici alla ricerca di nuovi composti chimici, geni, proteine e microorganismi a fini commerciali.

Scoperta dell’Integrated Ocean Drilling Program, progetto di trivellazione dei sedimenti abissali: in fondo agli oceani, sopra la crosta terrestre, c’è una specie di “tappeto” spesso più di un chilometro, che brulica di vita microbica. Da solo rappresenta quasi il 90% della massa globale degli organismi viventi.

Il mare sta diventando sempre di più una rilevante risorsa per le ricerche mediche e farmacologiche. Un esempio è costituito dalla PharmaMar, azienda spagnola fondata nel 1986 (controllata dal gruppo Zeltia). Specializzata in composti e ritrovati di origine marina, ha messo a punto un farmaco antitumorale (Yondelis), in commercio dal 2007. Questo medicinale è a base di trabectedina, isolata da un essere vivente che si chiama Ecteinascidia turbinata e vive nelle acque dei Caraibi. Paolo Casali, dell’Istituto Tumori di Milano: «Nella fase di vita mobile, quando va a cercare la roccia su cui fissarsi e formare le tipiche colonie, l’Ecteinascidia produce una sostanza tossica per proteggersi durante il suo percorso. È quella sostanza ora, ricavata per sintesi chimica, alla base dell’attività antitumorale» (a Panorama).

Altri quattro composti di PharmaMar sono in fase di sviluppo clinico con la prospettiva di essere autorizzati entro 18 mesi per diversi campi di cura.

La PharmaMar possiede 95.000 campioni di organismi marini. Gli scienziati dell’azienda hanno trovato 700 nuovi principi attivi. Dal 1986 la PharmaMar ha investito più di 450 milioni di euro in ricerca sviluppo e innovazione.

Per esplorare i fondali, i ricercatori della PharmaMar utilizzano un piccolo robot che riduce al minimo l’impatto sull’ambiente: guidato dalla superficie, individua le aree dove è indispensabile l’intervento umano per prelevare i campioni.

Altri ricercatori stanno osservando le specie marine per creare nuovi materiali. Per esempio, all’Università di Stanford Joanna Aizenberg sta studiando l’Ophiocoma wendtii, una stella marina che, pur non avendo occhi, è molto sensibile alla luce. È rivestita di lenti di cristallo che concentrano tantissimo la poca luce che arriva in profondità, dove la stella marina vive, e la focalizzano sui recettori nervosi. Ispirandosi a questo sistema, si pensa di poter mettere a punto delle nuove lenti per la visione umana.

Un innovativo antigelo, più potente di qualsiasi prodotto sintetizzato dall’uomo, potrebbe invece arrivare dallo studio del merluzzo nero antartico: questo pesce non congela e riesce a vivere e muoversi in acque che raggiungono temperature di -1,8°C (il punto di congelamento del sangue dei pesci e di -0,9°C). Ciò accade, è stato scoperto, grazie a particolari proteine che impediscono all’acqua intorno al corpo del pesce di cristallizzarsi in ghiaccio.

Entro il 2050, il 50% dell’energia prodotta dall’Unione europea potrebbe arrivare dallo sfruttamento delle risorse del mare. Lo hanno annunciato gli esperti riuniti a Ostenda, in Belgio, per la conferenza Eurocean 2010.

I sistemi eolici si collocano bene in mare aperto, sia per il minor impatto ambientale-paesaggistico sia per la maggiore continuità del vento. I generatori off-shore attualmente in funzione in Europa sono costituiti da grandi torri con pale. Ogni aerogeneratore può sviluppare una potenza di 5 MW. In Olanda, Svezia e Danimarca sono operative 5 centrali off-shore e, secondo alcune stime, nei prossimi anni questo tipo di impianti nei mari europei potrebbero fornire oltre il 20% del fabbisogno elettrico dei paesi costieri. Esiste, inoltre, il progetto italiano off-shore denominato “Seafarm”, che consiste nella realizzazione di una piattaforma galleggiante sommersa, da posizionare a circa 20 metri sotto il livello del mare Mediterraneo, che verrà ancorata a una serie di zavorre adagiate sul fondale per mezzo di cavi in acciaio. Saranno realizzate in mare aperto, lontano dalla costa, in modo da eliminare l’impatto visivo da terra. Questa struttura permetterà sia la produzione di energia elettrica, sfruttando i venti, sia l’allevamento di pesci e crostacei.

Le centrali a energia mareomotrice sfruttano le maree per muovere pesi o turbine e generare così corrente elettrica. Un esempio di centrali di questo tipo è in Francia, a Saint-Malo, sulla foce del fiume Rance. La portata raggiunge 18.000 metri cubi di acqua al secondo e la produzione annua della centrale copre il 3% del fabbisogno elettrico della Bretagna.

Tra i sistemi per ottenere energia dal mare, c’è anche quello a gradiente salino (od osmotico) basato sulla differenza di salinità alla foce dei fiumi, tra l’acqua marina e quella proveniente dall’estuario: il principio è quello di sfruttare il flusso spontaneo dell’acqua da una soluzione a concentrazione minore (acqua dolce) verso una più concentrata (acqua salata). Si sta installando la prima centrale di questo tipo a Tofte, una cittadina costiera vicino a Oslo (Norvegia), e avrà dimensioni relativamente piccole: in un’area grande come un campo da tennis verranno installati 2 mila metri quadri di pannelli che genereranno circa 4 kilowatt. Sfruttando l’esperienza di Tofte entro il 2015 l’azienda spera di riuscire a costruire una centrale più grande, in grado di produrre almeno 25 megawatt (il fabbisogno di circa 15 mila famiglie).

Il progetto Blue Energy: una centrale a gradiente salino sulla foce del Reno nel Mare del Nord, a sud di Rotterdam, che sarà in grado di produrre 1 gigawatt di elettricità, sufficiente per alimentare 650 mila abitazioni. Un sistema del genere può essere applicato alla foce dei fiumi di tutto il mondo, senza causare danni all’ambiente.

Allo studio anche l’energia talassotermica (Otec - Ocean Thermal Energy Conversion), che sfrutta le differenze di temperature tra la superficie marina e le profondità oceaniche. Ancora in fase di sperimentazione, la ricerca sembra essere più promettente nei mari caraibici, dove le differenze di temperatura sono molto alte. Questa differenza (che può essere anche di 20°C) alimenta un ciclo che produce energia elettrica. Per il momento è possibile produrre, ogni secondo, 1 KW di energia elettrica con 4 metri cubi di acqua. Secondo gli esperti, con questo sistema in un giorno si potrebbe estrarre dai mari un’elettricità 20 volte superiore a tutta l’elettricità consumata negli Stati Uniti.

Poi ci sono i tentativi di ottenere energia dalle onde. Per esempio la Spagna sta lanciando il progetto Ocean Leader, che raggruppa 25 università e 19 imprese. Budget iniziale: 30 milioni di euro. L’intento è sviluppare impianti simili a mulini subacquei, che catturano l’energia delle correnti marine.

Per il momento la difficoltà maggiore nello sfruttamento del moto ondoso sta nella scarsa resistenza delle varie installazioni (turbine, pale ecc.) alla forza del mare. Potrebbe risolvere questo problema l’esperimento del matematico italiano Michele Grassi, che ha fondato la 40SouthEnergy. Invece di pale ed eliche, si è pensato di utilizzare un sistema di galleggianti collegato a motori elettromagnetici (link per vedere il progetto). Spiega Grassi: «Abbiamo raggiunto la scala produttiva con l’installazione, al largo delle coste italiane, del primo impianto da 100 kW che rappresenta un modulo dei cinque che si possono collegare a raggiera comandandolo in remoto e governandolo a seconda dell’andamento del moto ondoso». L’impianto non necessita di aree marine protette perché, proprio grazie al meccanismo dei galleggianti, è in grado di abbassarsi al passaggio di eventuali navi o quando il moto ondoso di superficie diventa troppo violento.

Stima di quanta energia si potrebbe ottenere dal mare: 2.000 TWh/anno dal gradiente salino; 10.000 TWh/anno dal gradiente termico; 800 TWh/anno dalle maree; 8.000 – 80.000 TWh/anno dalle onde. Questo potenziale teorico è svariate volte piu grande del fabbisogno elettrico globale (equivalente a 4.000–18.000 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti).

Dal mare, inoltre, potrebbero arrivare i combustibili del futuro. Sono molti gli impianti che stanno lavorando per estrarre carburante, idrogeno ed enzimi dalle alghe. Exxon Mobil e la Synthetic Genomics di Craig Venter hanno investito insieme 600 milioni di dollari (460 milioni di euro) per fare ricerche sulle alghe. Anche la Nasa sta compiendo ricerche nelle alghe per produrre biocarburanti per l’aviazione, e Bill Gates ha finanziato con 100 milioni di dollari la Sapphire Energy per un impianto pilota nel deserto del New Mexico. Secondo Matthew C. Posewitz, assistente di chimica alla Colorado School of Mines, attualmente sono in corso «oltre cento ricerche di ingegneria genetica per ottimizzare la produzione di biodiesel dalle alghe».

Il 40% dell’ossigeno che respiriamo proviene dalle alghe.

Il primo impianto di produzione di biocarburante dalle alghe è in Francia. Nell’azienda, impiantata dal gruppo Séché Environment a Le Vigeant, nella parte centro occidentale del Paese, le alghe vengono coltivate in particolari bacini d’acqua all’interno dei quali vengono messe ad assorbire l’anidride carbonica emanata da rifiuti domestici. Tale processo porta alla formazione di un liquido che viene poi trasformato in biocarburante. Per il momento con 100 chili di alghe si producono poco più di 15 litri di biocombustibile, ma il progetto è solo all’inizio.

Dall’inizio del 1800 le risorse ittiche degli oceani si sono ridotte del 70%.

Il Wwf rivela che poco meno dell’1% delle acque oceaniche è protetto, mentre il restante 99% è a rischio. I pescatori illegali strappano al mare un bottino pari a 1,2 miliardi di dollari ogni anno.

In tutto il mondo ci sono 35 milioni di pescatori con 20 milioni di imbarcazioni. Circa 170 milioni di posti di lavoro dipendono direttamente o indirettamente da questo settore, mentre la rete economica collegata alla pesca raggiunge le 520 milioni di persone (dati Green Economy Report).