Fulvio Scaglione, Avvenire 11/11/2010, 11 novembre 2010
IL TRAFFICANTE D’ARMI CHE PUÒ FAR TREMARE ANCHE IL CREMLINO
«Victor Bout è una persona dinamica, carismatica, spontanea, ben vestita, affabile e piena d’energia ». E, certo, «potrebbe aver violato qualche legge qua e là, ma chi non l’ha fatto?». Con tutti i guai che si ritrova, Victor Bout (o Viktor But o Viktor Bulakin o Viktor Budd) avrebbe bisogno di un ufficio stampa un po’ più accorto di quello che gli gestisce il sito www.victorbout.com. Eppure, all’uomo d’affari russo che il governo Usa, l’Onu e i servizi segreti di mezzo mondo considerano il più grande trafficante d’armi del nostro tempo prudenza e cautela non sono mai mancate.
Anche se pare che sia nato nel 1967, nessuno può dire con certezza dove: si va da Dushanbé ( Tagikistan) ad Ashgabat ( Turkmenistan) a una qualche località dell’Ucraina. Studi? Chissà... C’è chi è sicuro che abbia frequentato l’Istituto di lingua straniere delle Forze Armate, a Mosca, ma di russi che parlano sei lingue (per lui portoghese, inglese, francese, arabo, uzbeko e tedesco) ce ne sono tanti. Prime esperienze di lavoro? Traduttore, agente segreto, pilota, militare di carriera, compresa un’esperienza presso la stazione del Kgb a Roma dal 1985 al 1989. Della famiglia attuale si sa che comprende almeno una figlia, e che il fratello Sergej lavora con lui.
Ma non è questo che deve sorprendere. Le origini un po’ nebbiose sono comuni a tanti di coloro che sono emersi dalla Russia della perestrojka per imporsi nel business, legale o illegale. Secondo la leggenda, Victor avrebbe comprato tre aerei Antonov da carico a soli 25 anni d’età, per 120 mila dollari in contanti usciti non si sa da dove, e avrebbe di lì spiccato il volo (è il caso di dirlo) verso il successo. Deve invece stupire che Bout sia riuscito a passare più o meno illeso per un decennio intero, gli anni Novanta, facendo volare fino a 50 aerei in tutti i posti più caldi del mondo e prendendo per il naso ogni sorta di regola e autorità. E che di lui si sia cominciato a parlare solo alla fine del 2000, in un rapporto Onu sui massacri in Sierra Leone.
Fa un po’ ribrezzo dirlo, ma c’è stato del genio nel modo in cui Bout ha venduto armi a chiunque volesse cominciare una guerra o concludere uno sterminio. Intanto lui era in grado di vendere interi arsenali chiavi in mano: trovava le armi, i finanziatori e provvedeva al trasporto. L’ideale per i dittatori o i golpisti a corto di credito e prestigio. In più, Bout faceva altri soldi prendendo per il naso il resto del mondo. Consegnate le armi, i suoi aerei tornavano indietro con carichi legali: lucrosi (il suo miglior affare sarebbe stato rivendere a 100 dollari l’uno a Dubai un Antonov di gladioli comprati a 2 dollari l’uno a Johannesburg) e talvolta pure nobili, come reparti di peacekeeper destinati al Ruanda e alla Somalia o, ancora nel 2004, generi di soccorso per le vittime dello tsunami. Per anni gli Stati Uniti, il Belgio (dove Bout aveva trasferito il proprio quartier generale) e il Sudafrica (base operativa) hanno cercato invano di fermarlo. Alla fine, gli Usa hanno accusato Bout di fornire armi alla guerriglia colombiana, hanno organizzato una extraordinary rendition in Thailandia e hanno cercato di portarselo via. E la Thailandia si è trovata tra gli Usa e la Russia, che in modo forse inaspettato pure per Washington faceva fuoco e fiamme perché Bout non arrivasse mai davanti a un giudice americano.
Perché? La prima parte della risposta sta in una statistica: la Russia è il secondo esportatore di armi del mondo, con 10,4 miliardi di dollari in contratti stipulati nel 2009 (il 18 % del totale mondiale). Una voce strategica del bilancio, che infatti è affidata a un’azienda statale, Rosoboronexport. Impossibile che il Cremlino lasciasse sul mercato un vorace cane sciolto capace di operare in Afghanistan e in Liberia, in Pakistan e in Congo. Bout, quindi, trafficava per conto di, o in accordo con, qualcuno di grosso e potente.
Su questa strada incontriamo subito Sergej Ivanovic Sechin, un altro poliglotta che nei primi anni Ottanta lavora come interpretespia in Mozambico, dove c’è anche Bout. Poi uno arriva in Italia per il Kgb e diventa armatore di una flotta aerea. Anche l’altro decolla: capo dello staff del vice-sindaco di San Pietroburgo, Vladimir Putin; capo della segreteria del primo ministro Putin; vice capo dell’amministrazione del presidente della Russia Putin; infine, vice primo ministro del Putin tornato premier. Ed è il governo Putin, per bocca del ministro degli Esteri Lavrov, a stendere su Bout, ancora carcerato in Thailandia, il manto protettivo del Cremlino. Anche in Russia, di solito, due più due fa quattro.