Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa 14/11/2010, 14 novembre 2010
I professori del Consiglio scientifico mi dicono: Marotta, ma che fa? La smetta di vendere, conservi per i figli
I professori del Consiglio scientifico mi dicono: Marotta, ma che fa? La smetta di vendere, conservi per i figli. I miei fratelli si mettono le mani nei capelli: Gerardo, stai dilapidando il patrimonio. E le mie figlie sono preoccupate. Papà - mi implorano - anche la casa hai ipotecato, dove andremo a vivere quando morirai?». E lei che cosa risponde? «Io vendo! Vendo! Vendo tutti i miei beni. Immobili, gioielli, risparmi, tutto. Lo faccio per salvare il nostro Istituto italiano per gli studi filosofici, per tenere alta una bandiera dell’umanesimo. Siamo i contrafforti dell’unità nazionale, ma l’Italia ci sta abbandonando». Gerardo Marotta è fatto così. Splendido ottantaquattrenne, dopo aver dato alla cultura la sua vita, sta sacrificando anche il patrimonio. Da quest’anno lo Stato non versa più un euro all’Istituto che Marotta fondò nel 1975 e Sandro Pertini definì «crocevia del mondo». L’attività ne risente pesantemente. Le borse di studio ai ricercatori provenienti da tutto il mondo si sono ridotte da 2.700 a un centinaio. Le ricerche non vengono più pubblicate in mille copie, ma in 50. E così Marotta, che per dedicarsi a tempo pieno all’Istituto liquidò lo studio legale rinunciando a professione prestigiosa e lauti redditi, ha cominciato a vendere. «Prima ho prosciugato i risparmi, poi ho alienato l’attico a Roma per 4 miliardi di lire, io sono vecchio e non riesco a ragionare in euro. Poi i gioielli di mia moglie defunta, ora la villa del ‘700 al confine del parco del Vesuvio, valore un miliardo di lire. La casa di famiglia è già ipotecata con le banche». Duecento intellettuali in tutto il mondo hanno firmato un appello per l’Istituto che Jacques Derrida giudicava «senza pari al mondo» e in 35 anni ha raccolto 300 mila volumi, pubblicato tremila libri (tra cui le traduzioni in russo e cinese dei Dialoghi di Giordano Bruno), creato 200 scuole in tutta Europa, sostenuto 180 biblioteche nel Mezzogiorno, coinvolto 475 città, organizzato migliaia di eventi ogni anno con ospiti tra i i giganti del pensiero, da Eugenio Garin a Luigi Firpo, da Hans-Georg Gadamer («gli studenti calabresi si appendevano alle travi del soffitto per ascoltarlo») a Karl Popper, da Paul Ricoeur a Jacques Le Goff. Per scongiurare «uno scandalo internazionale» si è mossa la Società internazionale dei filosofi, riunita a Parigi. Proteste sono arrivate dalla Cina e dalla Russia. Marotta, che con l’Istituto ha collezionato lauree honoris causa in mezzo mondo, è sommerso di messaggi di solidarietà dalle università americane, dove insegnano i docenti che lui ha formato ospitandoli nella sua casa napoletana e poi l’Italia non ha saputo trattenere. La stessa Italia che oggi sembra poter fare a meno dell’Istituto voluto da Elena Croce per dare «un fratello» all’Istituto di studi storici fondato dal padre Benedetto nel 1946. Il filosofo napoletano fu sostenuto da Raffaele Mattioli, presidente della Banca commerciale, che radunò i banchieri italiani invitandoli a contribuire. Nessuno ebbe il coraggio di rifiutarsi. Quando uno si presentò con un assegno principesco dicendogli «questo è per lei, a me dell’Istituto non importa nulla», Mattioli glielo restituì mettendolo alla porta: «Non voglio omaggi personali, ma alla cultura». Grazie alla liquidazione dei beni di Marotta, l’Istituto riesce ancora a organizzare quattro seminari al giorno e un paio di convegni al mese. A invitare centinaia di studenti stranieri. Ma avanti così, presto si chiude. «Stiamo campando sui debiti - si commuove Marotta -. Ho scritto a tutti i parlamentari, basterebbero 10 milioni di euro, ma il governo ha blindato la Finanziaria. Allora mi appello ai banchieri: ispiratevi a Mattioli, fate come lui con Croce. Ma mi chiedo: c’è oggi in Italia un nuovo Mattioli?».