Mattia Feltri, La Stampa 14/11/2010, 14 novembre 2010
I tre porcellini stanno mettendo su casa. Roba di lusso, dicono. Roba da non invidiare nessuno tanto è vero che - miracolo, miracolo - in tutto un pomeriggio non è stata pronunciata la parola «Berlusconi»
I tre porcellini stanno mettendo su casa. Roba di lusso, dicono. Roba da non invidiare nessuno tanto è vero che - miracolo, miracolo - in tutto un pomeriggio non è stata pronunciata la parola «Berlusconi». Sarà che il tema di giornata è così ampio e così sacro, i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, che mai nel terzetto nasce il coraggio della profanazione. E, anzi, in nome dei superiori ideali, Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e Francesco Rutelli (in ordine alfabetico, perché quello di primogenitura sarà affare loro, e si rivedranno lame affilate) offrono con naturalezza un approdo che soltanto un paio d’anni fa sarebbe apparso spudorato. Non sono tempi per sottilizzare. È vero, a inizio legislatura Fini stava a destra, Casini al centro e Rutelli a sinistra, e adesso si ritrovano in un sabato pomeriggio di prospettive catacombali (per il governo) a diffondere politica di respiro, almeno nei propositi. E di spettacolare convergenza, per dire le opportunità che offre oggi il palcoscenico italiano. E sarebbe stato impossibile scegliere anfitrioni meno eccellenti degli amici liberaldemocratici, l’onorevole Daniela Melchiorre e l’onorevole Italo Tanoni. L’occasione, si è accennato, è il fausto anniversario (“150 anni della nostra Unità, viva l’Italia!”) nobilitato da una lezione risorgimentale del professor Mario Belardinelli dell’Università di Roma Tre. Ma la lungimiranza dei liberaldemocratici, degli eccellenti anfitrioni, è stata quella di convocare l’assise proprio ora, proprio in questo momento, e proprio con quegli ospiti lì. Lo hanno sottolineato gli ospiti stessi, tutti e tre, tutti allo stesso modo. Però c’erano in giro linguacce maliziose secondo le quali il Terzo Polo - anzi, il Primo Polo, come ha detto con orgoglio Casini - con la sua più curiosa che eterogenea triade, viene battezzato da anfitrioni che si definiscono eccellenti per il loro pedigree, più che per il loro fiuto. I Liberaldemocratici sono un partito che sorge da Rinnovamento Italiano di Lamberto Dini, uno che, se si fosse perso il conto, cominciò con Berlusconi, proseguì in solitaria con concorso esterno della sinistra (dopo il ribaltone del 1994), il concorso si trasformò in affiliazione, e il cerchio si è chiuso due anni fa col ritorno di Dini a destra dopo l’ammazzamento di Romano Prodi. E la signora Melchiorre, anche per queste ragioni, venne un po’ sbatacchiata sulla Repubblica da Francesco Merlo, poche settimane fa, quando lei ipotizzò un appoggio al già crepuscolare esecutivo berlusconiano. Si ricordò (non sempre si è cavalieri) che l’onorevole Melchiorre era uscita da un referendum di camionisti col titolo di politico più sexy, quando forse sarebbe stato più fotografico ricordare la definizione che di sé diede la signora: diniana eterodossa. Ma ieri era tutto un abbraccio, un caro di qui e un caro di là, specie per Tanoni che dimostrava gran confidenza con tutti, e la squadernava nel suo pettoruto intervento. Sarà che Tanoni, dal 2001 a oggi, è passato da Rinnovamento italiano ai Liberaldemocratici passando per la Margherita e condivide con molti il record di essere stato eletto sia nelle liste dell’Ulivo (2001) che in quelle del Pdl (2008, un mese prima di passare al gruppo misto). Insomma, Tanoni è un Terzo (o Primo) Polo vivente. Eppure questi sono, chissà, canoni vecchi, la politica è di nuovo in rivolgimento, probabilmente fra pochi mesi nulla sarà come prima, e Casini-Fini-Rutelli bene lo hanno capito e bene lo spiegano. Staranno insieme col buon senso, inutile litigare sui tempi andati: lo ripete un paio di volte Fini, che ieri aveva l’obiettivo inderogabile di offrire di sé un’immagine da statista. Niente polemiche, niente recriminazioni, niente da dire sul premier, quasi niente sui leghisti, se non velate allusioni. È il momento di guardare avanti, associarsi da volenterosi e responsabili, Casini parla di un Patto per la Nazione, cioè la versione postideologica del Comitato di Liberazione Nazionale. Altro che Silvio, c’è da mettersi a testa bassa perché la crisi incombe, i cervelli fuggono, gli immigrati arrivano, le casse si vuotano. C’è da immaginarsi la nuova patria, dice Fini, che non sarà più soltanto la terra dei padri, poiché la costituiranno ragazzi che si sentono italiani, e si commuovono ascoltando l’inno e guardando la bandiera, e sebbene i loro padri siano nati altrove. È il giorno delle suggestioni, di un ecumenismo necessario, di una nuova casa nazionale. Lo predicano tutti e tre, e mai nessun li dividerà.