Alessandro Penati, la Repubblica 13/11/2010, 13 novembre 2010
Se in un muro appare una crepa, non ci si fa caso. Se ne appaiono altre, bisogna verificare la struttura: meglio un falso allarme di un crollo
Se in un muro appare una crepa, non ci si fa caso. Se ne appaiono altre, bisogna verificare la struttura: meglio un falso allarme di un crollo. E nell´Eurozona cominciano ad apparire troppe crepe per non preoccuparsi. Il Fondo di Stabilizzazione Europeo (Fse), varato a giugno per la Grecia, è stata una buona stuccatura: ma ha solo mascherato le crepe per qualche mese. L´ultima, vistosa crepa è l´Irlanda. Mostra come il Fse non basti; come non bastano i generosi finanziamenti della Bce. L´Irlanda ha le risorse per coprire la spesa pubblica fino a 2011 inoltrato: il rischio non è di liquidità, dunque, ma di insolvenza. E il Paese ha già adottato un taglio del deficit di oltre 4% del Pil quest´anno, più un altro 5% nei prossimi. Ma non basta. In queste condizioni, la scure fiscale rischia di avvitarsi: il suo effetto recessivo riduce il flusso delle imposte, rendendo necessari ulteriori tagli alle spese, sempre più difficili da effettuare. L´Euro inoltre ha eliminato due strumenti che sono usati per accompagnare l´uscita dalle crisi fiscali: svalutazione (per rilanciare l´economia) e inflazione (per tassare i detentori del debito pubblico). Si può arrivare a un punto dove conviene ristrutturare il debito, e pagarne i costi, piuttosto che sopportare anni di deflazione e di interessi onerosi. Ma più aumenta la convenienza della ristrutturazione, maggiore è il tasso richiesto dai creditori, che rende l´aggiustamento fiscale ancora più oneroso. Con la crescita nominale al 4%, per l´Irlanda, la stabilizzazione finanziaria diventa una chimera se i tassi sul debito si mantengono all´8% come oggi. Il Portogallo è in una situazione simile. Fino a poco tempo fa la probabilità di una ristrutturazione del debito pubblico nell´Eurozona era ridotta al minimo dalla disponibilità della Germania di farsi carico di un eventuale salvataggio, come nel caso greco. Ma adesso la Germania vuole che, in futuro, anche gli investitori nel debito pubblico di un Paese debbano sopportare l´onere di un eventuale salvataggio. Lo scenario cambia: la ristrutturazione del debito non è più un tabù, ma addirittura auspicabile. Le argomentazioni tedesche sono condivisibili: non è giusto che i cittadini paghino per le decisioni sbagliate degli investitori. Ma la forma è sbagliata: per rendere più stabile il futuro dell´Eurozona, si contribuisce a destabilizzare il presente. Altre crepe in Grecia. Il Fse di giugno ha eliminato la possibilità di una crisi di liquidità e imposto drastici tagli al deficit, ma lo spread sui titoli di Stato tedeschi è tornato al livello toccato allo scoppio della crisi: segno che il risanamento non è credibile. I tagli risultano più difficili del previsto; e già quest´anno la Grecia rischia di mancare gli obiettivi di disavanzo. Ma se il Fse non riesce a ridurre l´onere degli interessi, il risanamento diventa insostenibile. Il rischio ristrutturazione può diffondersi; e colpire l´Italia. Piccole crepe sono già visibili anche da noi: da ormai due anni lo spread dei Btp sui Bund si sta gradualmente aprendo; oggi siamo nuovamente ai massimi dalla crisi greca. Ogni volta che c´è incertezza in Borsa, banche e assicurazioni italiane diventano bersaglio di vendite: non tanto per i loro demeriti, ma perché sono grandi investitori nei nostri titoli di Stato e rappresentano una replica perfetta del rischio finanziario del Paese. Quanto al controllo del deficit, è difficile che in anni di campagna elettorale non si trovi il modo di sforare con la spesa, ed è lecito aspettarsi brutte sorprese dal lato delle entrate visto il rallentamento degli ultimi mesi. Senza dimenticare l´enorme stock di debito esistente da rifinanziare. Gli stranieri detengono circa 65% del debito pubblico italiano: ma i tranquillanti che ci vengono propinati, all´estero non fanno effetto. Né farei troppo affidamento sul risparmio italiano: i Cct, pur essendo a tasso variabile, pagano un premio anche di oltre un punto percentuale rispetto alla curva dei tassi interbancari; ma non vedo i risparmiatori fare la fila per comprarli. Mi piacerebbe che i tanti che si candidano a guidare il Paese cominciassero a pensare a cosa fare nell´eventualità, per quanto improbabile, che il rischio di ristrutturazione ci contagi. Per favore, dov´è l´uscita di sicurezza?