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 2010  novembre 08 Lunedì calendario

«DALLE SERATE MOZZARELLA ALLE RUSPE NEL TEATRO. IL TEMPIO DELL’ANTICHITA’ AI MERCANTI DEL MARKETING»

La città antica di Pompei è vasta 66 ettari, e alla Soprintendenza lavorano tre restauratori e meno di dieci archeologi. Forse è già in queste cifre la sintesi del disastro. Gli Scavi rappresentano il luogo simbolo, il tempio dell’ archeologia mondiale, ma lì dentro l’ archeologia non c’ è praticamente più. L’ hanno messa da parte per far posto al marketing: quello che ha voluto non il restauro ma il rifacimento del Teatro Grande, con quattro lastre di marmo a ricordare che cos’ era una volta quel luogo, e intere file di sedili fatti con i mattoni di tufo che solo a guardarli si prova un disagio istintivo anche se non si ha dimestichezza con la storia dell’ arte. La professoressa Luciana Jacobelli - autrice di numerosi libri su Pompei, già docente di Antichità pompeiane alla Bicocca di Milano e ora titolare della cattedra di Metodologia della ricerca archeologica all’ Università del Molise - più che disagio prova autentica sofferenza. «Per fare quello scempio hanno usato pure i bobcat. Ma ci rendiamo conto? Le ruspe in un luogo dove secondo me si dovrebbe camminare senza scarpe, tanto è prezioso. Ma se invece che all’ arte si pensa a organizzare spettacoli e a vendere biglietti, ecco dove si va a finire». Alla Schola Armaturarum sbriciolata si va a finire. E a tutti gli altri siti, le case e le botteghe, che avrebbero potuto avere la stessa sorte. «Che potrebbero avere la stessa sorte», corregge la professoressa Jacobelli, che di Pompei conosce ogni angolo perché sono trent’ anni che ci lavora come consulente, e partecipò, tra il 1987 e il 1990, anche al Progetto Neapolis, la mappatura di tutte le pitture e i pavimenti della città, un enorme lavoro di catalogazione rimasto come patrimonio di conoscenza ma non come punto di partenza per interventi mirati di manutenzione. «I progetti ci sono stati e ancora ci sono - spiega la docente - come per esempio quello per il ripristino del Conte Sarno (il canale realizzato nel 1600 dall’ architetto Domenico Fontana, ndr) che eviterebbe l’ accumulo di acqua nell’ area degli Scavi. Quello almeno è iniziato ma procede a rilento e tra mille difficoltà». Le infiltrazioni potrebbero essere una delle concause del crollo dell’ altro giorno. Certamente l’ eccessiva umidità ha agevolato il processo di distruzione di gran parte delle pitture ritrovate a Pompei. Oggi il novanta per cento delle opere emerse durante gli scavi è perso, ed è perso per sempre. Luciana Jacobelli indica gli altri siti a rischio: di qua la Casa dei Casti amanti, in via dell’ Abbondanza, vicinissima alla Schola Armaturarum, dove recentemente c’ è stato il cedimento di un muro; di là la Casa del Labirinto, dove è caduto il soffitto, e poi la Casa delle Nozze d’ argento, dove è andato giù l’ oecus, l’ ambiente di rappresentanza. «Ci sono case che non si possono visitare dove ancora si trovano i puntelli di legno messi dopo il terremoto del 1980», racconta l’ archeologa. Gli investimenti sono andati in altre direzioni, soprattutto negli ultimi due anni, quelli del commissariamento e dell’ affidamento di Pompei alla Protezione civile. Anche con la Sovrintendenza non si riusciva a fare ciò di cui c’ era bisogno, ma dopo si è pensato quasi esclusivamente al marketing. Il teatro moderno nella città antica ne è l’ esempio più evidente, ma non è il solo. Ci sono i percorsi nella Casa di Giulio Polibio da fare bendati, per percepire meglio l’ atmosfera, dicono. Oppure le passeggiate in bi cicletta. Il meglio, però, sono le serate mozzarella: «degustazioni di prodotti tipici» (fortunatamente all’ esterno) seguite da visite guidate alle Terme Suburbane: «Ma almeno lo sapranno - chiede la Jacobelli - che c’ è un progetto di messa in sicurezza delle Terme risalente all’ epoca romana perché già allora stavano scivolando verso il mare?».
Fulvio Bufi