Alessandra Levantesi Kezich, La Stampa 12/11/2010, pagina 48, 12 novembre 2010
Addio allo scugnizzo che conquistò Hollywood - Per l’energia che sprigionava dai suoi occhi penetranti e per la capacità dimostrata in molte occasioni di saper rinascere a nuova vita, dava una sensazione d’immortalità Dino De Laurentiis, nato Agostino a Torre Annunziata in un lontano 8 agosto 1919
Addio allo scugnizzo che conquistò Hollywood - Per l’energia che sprigionava dai suoi occhi penetranti e per la capacità dimostrata in molte occasioni di saper rinascere a nuova vita, dava una sensazione d’immortalità Dino De Laurentiis, nato Agostino a Torre Annunziata in un lontano 8 agosto 1919. Così, di fronte alla notizia della sua scomparsa, verrebbe spontaneo fare come lui che della morte delle persone care aveva stabilito di non prendere atto: rifiutando di andare ai funerali, persino a quello dell’adorato figlio Federico morto ventiseienne in un incidente aereo nel 1981, il dolore più grande di tutti. Rievocare le tappe della lunga esistenza di quello che è stato uno dei più grandi produttori italiani significa ritrovarsi in una pittoresca cittadina del napoletano, dove un adolescente scalpitante e poco incline allo studio annuncia al padre di voler abbandonare l’avviato pastificio familiare per iscriversi al corso di recitazione del Centro sperimentale di Roma. Alla scuola Agostino fa la conoscenza di allievi (Clara Calamai, Pietro Germi, Alida Valli) con cui presto lavorerà, ma soprattutto scopre che nel cinema dietro ai divi e al regista c’è il produttore, figura decisiva per far sì che i sogni divengano realtà, anche se è una realtà di celluloide. Agostino non ha dubbi: altro che attore, il suo posto è lì, sul ponte di comando. E appena ventenne sbarca a Torino per tentare di rilevare gli studi Fert e trovare un socio: non ha una lira in tasca, ma scende al Sitea e gira con una lussuosa Fiat messagli a disposizione dall’ufficio stampa Luigi Pestelli cui ha promesso una pubblicità nel film (del tutto virtuale) che si appresta a girare. È l’inizio di un’avventura incredibile, che potrebbe ispirare una pellicola delle sue. Al centro un self-made-man, spregiudicato e fantasioso, lavoratore indefesso e dotato di un’intelligenza fuori del comune, pronto a mettere ambizione e innate capacità imprenditoriali al servizio del suo amore più grande, il cinema. Impossibile raccontare sotto brevità i primi passi, la convocazione alla prestigiosa Lux di Gualino, per conto della quale Dino segue la lavorazione di Malombra, diretto da Mario Soldati sul lago di Como fra le bombe. Poi la chiamata alle armi, la fuga da Roma dopo l’8 settembre, la Liberazione, la necessità di rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo in un’Italia in macerie. Essendo Cinecittà impraticabile, Dino punta sul cinema povero girato per le strade che passerà sotto l’etichetta di neorealista, e nel ‘48 arriva il colpo fortunato. Diretto da Giuseppe De Santis, Riso amaro si rivela un grande successo internazionale e impone l’immagine avvenente e sensuale di una sconosciuta destinata a non rimaner tale. È Silvana Mangano, che sarà moglie di Dino (la seconda, nel ‘46 aveva sposato Bianca De Paolis) e madre dei suoi quattro figli, uniti - la star e il produttore - in un matrimonio difficile e tormentoso per quasi quarant’anni. E intanto, con un capitale modestissimo, nasce la Ponti-De Laurentiis, una società che fa la storia del cinema, producendo, accanto alle commedie con Totò e ai drammi neorealisti, costosi kolossal in sfida con Hollywood, da Ulisse a Guerra e pace. È soprattutto Dino a impegnarsi nella megaproduzione con cast internazionali e infatti, chiuso il rapporto con Ponti, è lui a proseguire su questa strada varando - mentre lavora con tutti, da De Sica a Fellini, da Gassman a Sordi - La Bibbia e Waterloo e fondando gli studios di Dinocittà, capaci di ospitare progetti di tal fatta. L’avvento di un cinema nuovo, girato en plein air, e di leggi protezionistiche mettono in crisi questo modello di cinema spettacolare e costringono Dino a emigrare a New York, dove si impone subito infilando due film della nuova tendenza come Serpico e I tre giorni del Condor. È l’avvio di un lungo capitolo americano costellato al solito di successi e insuccessi, da King Kong a Conan, da Ragtime a Dune, e coronato negli Anni Ottanta da un terzo e felicissimo matrimonio con la molto più giovane Martha Schumacher, da cui avrà due figlie in un’età in cui gli altri, gli esseri normali, diventano nonni. Ci sarebbe moltissimo ancora da dire, dalla sfortunata sortita gastronomica nel DDL FoodShow al Thalberg Memorial alla carriera ricevuto dalle mani di Anthony Hopkins nel marzo del 2001. Ma ci piace chiudere sui titoli che restano i suoi più importanti, guarda caso legati al periodo d’oro del cinema italiano: i felliniani Le notti di Cabiria e La strada, entrambi premiati con l’Oscar; e La grande guerra (Monicelli), Tutti a casa (Comencini) e Una vita difficile (Risi), un’ideale trilogia che rispecchia in modo felicissimo, ironico e antiretorico momenti cruciali della nostra storia.