MARCO ZATTERIN, La Stampa 12/11/2010, pagina 13, 12 novembre 2010
Il nuovo asse Germania-Cina - Quando il belga Herman Van Rompuy è stato eletto presidente stabile dell’Unione europea, il 25 novembre 2009, i suoi sostenitori hanno proclamato con enfasi che la vecchia battuta dell’ex segretario di stato americano Henry Kissinger sul continente senza leadership - «Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?» - poteva essere archiviata per sempre
Il nuovo asse Germania-Cina - Quando il belga Herman Van Rompuy è stato eletto presidente stabile dell’Unione europea, il 25 novembre 2009, i suoi sostenitori hanno proclamato con enfasi che la vecchia battuta dell’ex segretario di stato americano Henry Kissinger sul continente senza leadership - «Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?» - poteva essere archiviata per sempre. Un anno più tardi è chiaro che il messaggio non ha attraversato l’Atlantico, e se l’ha fatto, non è stato recepito. A Seul, Barack Obama ha incontrato l’ex premier belga. Poi, quando ha voluto parlare di cose serie come la crescita, gli assetti e il commercio internazionale, ha chiesto di vedere la cancelliera Merkel. E non a caso. Se Kissinger fosse in carica potrebbe dire che quando si vuole parlare con l’Europa si deve chiamare Berlino. È nella logica dei fatti, nella rapidità delle relazioni globali che hanno sposato economia e politica, in cui la diplomazia punta senza pudore a fare affari prima che a evitare conflitti, un mondo dove l’attendibilità è funzione diretta della crescita. Per un Obama che ha più problemi che tempo, gli interlocutori sono obbligati. La Cina, sodale in un insidioso «G2», e quindi la Germania, porta del patto a Ventisette dove per sua stessa ammissione fa la pioggia e il sereno. «Senza francesi e tedeschi non avanziamo», ha detto la cancelliera all’eurosummit di ottobre. Visto però che Sarkozy è debole e Parigi perde smalto, l’uomo della casa Bianca non aveva scelta. Sul biglietto da visita della prima leader tedesca venuta dall’Est c’è anzitutto il numero che certifica la furia ritrovata dell’economia nazionale, in espansione di quasi il 4% secondo le ultime stime, oltre il doppio delle media Ue. Il Pil è positivo dal secondo trimestre 2009, merito di un sistema che ha saputo sfruttare la ripresa della domanda mondiale, manovrando con sapiente misura la leva degli incentivi. Si è cavalcato l’export, suscitando anche le critiche (in primis, francesi) di non stimolare abbastanza la domanda interna. Gli ultimi dati dicono che anche i consumi si stanno risvegliando. Una festa. Brava Merkel? Certo giocano anche la fortuna e le circostanze. Proprio mercoledì il consiglio dei cinque saggi, i consulenti economici del governo tedesco, hanno ammesso che «l’attuale governo raccoglie i frutti delle riforme fatte da chi l’ha preceduto». Il riferimento è all’Agenda 2010 di Gerhard Schroeder, programma che fece perdere le elezioni al socialdemocratico, ma che ha riscritto il Dna economico del Paese. Con la settimana corta, la revisione del collocamento e gli aiuti alla riconversione ha difeso il lavoro nei settori tradizionali dell’industria, arginando l’emorragia verso i servizi. Sono posti che, una volta bruciati, richiedono anni per essere ricreati. Al momento di rimettersi a correre, la Germania li ha ritrovati in casa. Il vantaggio competitivo è stato immediato, e la Merkel lo ha utilizzato per consolidare il suo stato di Signora dell’Europa. A Bruxelles contano i più forti (e ricchi), oltre che quelli che sanno comandare. La Germania è rimasta senza rivali, e gli unici che potevano impensierirla, i francesi, li ha imbrigliati in un asse a cui i ventisette hanno assegnato le chiavi del destino. Gli inglesi pensano al loro business, scandinavi e est europei si accodano volentieri a Berlino, i polacchi crescono ma si trovano quasi sempre nel dialogo con gli ex nemici, gli spagnoli sono fuori dal ring, l’Italia è assai spesso «non pervenuta». Frau Merkel ha il potere e lo sa. E’ un gigante equilibrato con i conti in ordine che ha digerito l’unificazione con l’Est, fra Düsseldorf e Dresda non c’è più l’abisso di redditività e efficienza di vent’anni fa. L’amministrazione tedesca è una macchina oliata come la sua diplomazia, magari senza eccessiva fantasia, eppure abile e pragmatica nel trattare i compromessi europei dietro le quinte dei vertici. E’ un primato a cui la Germania non vuol rinunciare. Anche a costo di incrinare il suo sacro europeismo postbellico influenzando manovre non proprio ambiziose. Berlino ha fatto campagna per Van Rompuy anche perché sapeva che Obama non gli avrebbe mai telefonato davvero nel momento del bisogno. Helmut Kohl avrebbe agito diversamente. Ma Kohl non è più cancelliere e questa è un’altra Germania.