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 2010  novembre 11 Giovedì calendario

INDAGINI SENZA FINE. COLPI DI SCENA, VERI O PRESUNTI. INVASIONE DEI PROGRAMMI TV. COSÌ LE INCHIESTE SU ALCUNI DELITTI GONFIANO L´AUDIENCE - È

la stagione degli "omicidi che non finiscono mai". Ha un inizio piovoso: la mattina del 30 gennaio 2002, quando al piccolo Samuele Lorenzi, a Montroz, frazione di Cogne, Valle d´Aosta, viene spaccata la testa con un´arma non ancora trovata. E conta altre quattro vittime per un poker di "grandi ascolti" tv. Quattro vittime che vengono continuamente seppellite e disseppellite, con indagini che fanno dubitare di detective e Scientifica, di avvocati e - diciamolo pure - giornalisti.
Oltre a Samuele, ci sono la coscienziosa neo-laureata Chiara Poggi, 13 agosto 2007, a Garlasco, tra Pavia e Voghera e la studentessa inglese con la passione per la cultura Meredith Kercher, 1 novembre 2007, nella città universitaria di Perugia. Di Erica Claps, scomparsa il 12 novembre del 1993, sappiamo che non è mai uscita dalla chiesa. Il suo corpo è stato trovato lo scorso marzo in cima alla chiesa più famosa di Potenza, su via Petroria, con accanto un bottone da vescovo. E quello che viene considerato il suo assassino, Danilo Restivo, è in Inghilterra, ma non più libero. E l´ultima, quella che ha commosso tanti, è la quindicenne Sarah Scazzi: muore il 26 agosto 2010, Avetrana, profonda provincia di Taranto.
Sarah non la conosciamo, anche se siamo "entrati" mille volte nella sua cameretta con poster e peluche. Sarah sparisce mentre va al mare d´estate. «Guardate in famiglia», suggerisce la madre, impietrita, durante "L´Italia sul 2". Passano quarantadue giorni e l´idea di un mostro arrivato tra queste quattro case via Internet naufraga. Tra telefonini ritrovati "per caso" e indagini con le microspie, scoppia zio Michele. Ha 57 anni, e sotto interrogatorio confessa. È stato lui, ammette, perché «Sarah non ci stava». I sommozzatori trovano il cadavere in aperta campagna e c´è da restare tramortiti per l´empietà del tutto. Ma, nel frattempo, i file con la voce della confessione del contadino guadagnano la strada della tv. La stessa madre della vittima, mentre è casa dell´assassino, apprende sempre dalla tv onnipresente e onnisciente che non c´è più niente da fare: «Chi l´ha visto?» continua la diretta.
Zio Michele è il mostro. Giudici e carabinieri sono concordi. Ma "Così è, se vi pare". Il contadino cambia versione come «una matrioska» (definizione degli avvocati della famiglia della vittima). L´ultima è che si defila dalla scena primaria del crimine. Ha aiutato la figlia Sabrina a far scomparire quel corpo fragile, privo di vita, di cui poi ha approfittato bestialmente. La moglie Cosima, aggiunge, «non ha mai saputo niente». Lui? Dormiva. A uccidere con una cintura è stata quella sua figlia intraprendente e volgare. Movente: era gelosa della cuginetta, bionda e angelica. Sabrina voleva un ragazzo, gli si era offerta, quello non solo aveva detto «no grazie», ma sembrava andare dietro a Sarah.
I no che uccidono: i no che perseguitano vittime e carnefici. I no che adesso arrivano a rimbombare dentro le case di tutti. «Ci si siede davanti allo schermo come davanti al "Grande fratello". Decidi chi includere e chi escludere, c´è una specie di nomination del colpevole o del movente». Più parla Olindo Canali, magistrato discusso, criminologo, ex assistente in gioventù del professore Gianluigi Ponti e ora giudice a Milano, più emerge il misto contemporaneo di fiction e realtà: «Ci si divide in due schieramenti, sempre e comunque. Basta guardare Cogne. All´inizio, la divisione è stata tra innocentisti e colpevolisti di Anna Maria Franzoni. Poi, assodata la sua colpevolezza, la divisione è stata tra "imputabilisti" e "non-imputabilisti". Cioè, se lei fingeva o avesse davvero dimenticato di aver ucciso il figlio. Ora che è dietro le sbarre, non interessa più, avanti un altro, per dividerci e discutere. Non abbiamo altro, tranne lo sport». Parole amare? O parole verissime, con le quali fare i conti? «In chi guarda colpevoli e vittime - conclude il magistrato - scatta un meccanismo semplice. Ci diciamo: "A loro sì, ma a noi no, non capita. Le nostre sono famiglie sane". Ma, sapete?, capita sempre nelle famiglie sane».
L´indagine "sul tamburo" non è una novità di questi anni. La memoria (e anche la letteratura) portano dritti dritti a Rina Fort, «la belva di via San Gregorio», definizione di Dino Buzzati. Uccise la moglie e i tre figli di Peppino, il padrone del negozio dove lavorava, l´uomo che era stato a lungo il suo amante. Ci sono le foto con lei che parla, con il commissario Nardone e con i cronisti. Tutti insieme in questura, che prendono appunti. Era il novembre 1946, a Milano. Il passare dei decenni ha portato, su queste storie, i nuovi media, veloci, incalzanti; e la nuova politica, che alita sui carboni accesi delle nostre paure. Le povere ragazze uccise e la caccia al colpevole finiscono per sposarsi oggi nell´accanimento contro i più ignoranti, contro chi non riesce a cavarsela con le parole, contro i soggetti "strani".
Senza voler mettere tutti sulla stessa barca, basta mettere a confronto il comportamento di Alberto Stasi, bocconiano benestante, imputato in appello per l´omicidio della fidanzata Chiara Poggi, con quello di Michele Misseri. Il primo ha parlato sempre pochissimo. E ha accettato di andare in un programma televisivo "senza domande". A Matrix ha potuto affermare: «Al momento i genitori di Chiara non hanno abbassato il muro nei miei confronti. Forse condizionati dal modo in cui sono state condotte le indagini. Eppure loro mi conoscono e resto convinto che non credano che io sia colpevole». Il conduttore non ha sbandato nemmeno un secondo. Sono dovuti intervenire a distanza, lontano dal contesto, papà e mamma della vittima. «Per noi - hanno ribadito - Alberto era e resta il colpevole dell´omicidio di Chiara. Non abbiamo assolto Alberto anche se c´è chi tenta di far passare un messaggio diverso».
In questa stagione macabra e spettacolare, realistica e fasulla, ricca di "messaggi", il "mercato della cronaca nera" sta trasformando e forzando molte professionalità. Non stupisce che, se pure in ritardo, il consiglio dell´Ordine degli avvocati di Taranto abbia avviato un provvedimento disciplinare nei confronti degli avvocati di Michele e Sabrina Misseri. Ci sono domande da Ordine. Come ha fatto a finire tutto in piazza? Ma ce ne sono altre, da uomo della strada. Com´è possibile che alcuni difensori sembravano dei pm, accusando in tv gli assistiti, o annunciando «clamorose novità»? E quale avvocato sceglierebbe come consulente Daniela Bruzzone, altra criminologa da tv, che più volte aveva parlato di Misseri come di un «pedofilo», uno da «condanna all´ergastolo»? L´avvocato oggi è ancora un difensore?
Amanda Knox, 23 anni, e Raffaele Sollecito, di 26, hanno contribuito molto alla loro urtante popolarità. C´è una notte torbida, tra sesso e droghe e alcol. Ci sono i giovani, che sembrano prevedibili, e sono sconosciuti. C´è il tempo sospeso e perso intorno all´università. E c´è Meredith, ammazzata nel suo letto, mentre si difendeva da un tentativo di violenza. Il coimputato Guede ha parlato del delirio collettivo e ottenuto lo sconto a 16 anni di reclusione. Loro due negano qualsiasi coinvolgimento nell´omicidio della compagna di stanza di Amanda, e si sono presi 26 e 25 anni di carcere. Durante l´inchiesta e nell´aula, gli ex fidanzati, biondi e belli, sembravano stupefatti della situazione. Come se non c´entrassero con il movente «erotico sessuale violento» di via della Pergola. Come se subissero un´ingiustizia. Come se i dettagli non quadrassero. Come se i dettagli non quadrassero nemmeno intorno a Danilo Restivo: in lui, hanno scoperto gli investigatori, ci sono due persone. Benedetto, il timido, che s´era innamorato di Elisa. E Michele il duro, quello che sa sempre che cosa bisogna fare, e che mette le mani addosso alla sedicenne Elisa Claps. Colpita tredici volte. Con il reggiseno tagliato. E i capelli pure: dettaglio che ricorre, nelle storie di amore deviato e morte che hanno per protagonista Danilo Restivo. Una ciocca era anche sul cadavere di Heather Barnett, sarta, mamma, e sua vicina di casa Bournemouth, nel Dorset, Inghilterra, ammazzata nel 2002. Il processo non c´è ancora, tutto sembra chiaro. Ma lo è davvero?
Alessandra Simone, poliziotta, capo della Omicidi milanese, è di quelli che non ne possono più delle fughe della realtà via video. «Noi investigatori cerchiamo gli indizi e le prove, in base a questi lavoriamo per trovare il colpevole. Stando sul divano, succede l´opposto, perché è obiettivamente molto difficile - ironizza - vedere la scena del crimine. A casa si fabbrica un teorema e poi si cercano i supporti. Ma il teorema è l´incubo di ogni investigatore, rovina le indagini e basta». Le indagini sì, ma non il format che si va creando in questa stagione, obiettiamo. Risposta: «Ma come si fa a non vedere un pericolo in questa mancanza del rispetto delle persone? In sala operatoria, dove viene operato un nostro caro, noi non entriamo. Aspettiamo fuori. Un po´ lo stesso dovrebbe essere con le indagini. Ci sono al lavoro dei professionisti, alla fine si saprà la verità». Già: ma oggi la verità interessa oppure è un "optional"? E questa domanda va rivolta, qualunque mestiere faccia, a ciascuno di noi.