NELLO AJELLO, la Repubblica 10/11/2010, 10 novembre 2010
NICOLA CABIBBO E LO SMACCO DI UN PREMIO NEGATO
Venerdì, tre mesi dopo la sua scomparsa avvenuta in agosto, sarà ricordato al Dipartimento di Fisica della "Sapienza" Nicola Cabibbo, forse il più grande fisico teorico italiano dell´ultimo mezzo secolo. Avendo goduto per anni dell´amicizia dei Cabibbo, ho pregato la moglie Paola, americanista, di parlarmi di lui. Quanto positivo e sorprendente risultasse il contatto con un talento del suo rango ho potuto sperimentarlo di persona. Ma la mia curiosità persiste. Romano di famiglia siciliana, classe 1935, figlio di un avvocato, Cabibbo si era laureato nel 1958 con una tesi sulle "interazioni deboli". La sua carriera lo avrebbe portato nei maggiori centri di ricerca mondiali. È stato anche presidente dell´Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell´Enea.
Paola, quando conoscesti Nicola?
«Nel maggio 1962, in una qualsiasi festicciola pomeridiana a casa di amici. Nicola aveva 27 anni, io 23. Lui fisico già affermato (ma lo scoprii molto tempo dopo), io laureanda in lettere. Pipa, pantaloni di velluto a coste, un assurdo foulard di seta al collo, forse retaggio della sua divisa scout. Parlava lento, con molte pause, di esplorazioni e avventure al polo. Era diverso da tutti. Andava e tornava da Ginevra con la sua vecchia Cinquecento. Ci sposammo a primavera, nel ´63. Ci stabilimmo a Ginevra, dove io scrissi la mia tesi (su C. Mather, un predicatore puritano del Seicento, membro della Royal Society londinese e fondatore della Harvard University), e Nicola quel suo articolo della Physical Review noto per essere il più citato nel mondo della scienza delle particelle, sull´"angolo teta" (successivamente "angolo di Cabibbo"). Una bella asimmetria! Oltre ad avermi procurato dagli Usa i microfilm indispensabili al mio lavoro, Nicola si appassionò moltissimo alla figura del "mio" teologo-scienziato, mentre io, analfabeta scientifica, non avevo la minima idea del significato delle sue complicatissime formule. Dopo Ginevra, ci aspettava un anno al Lawrence Radiation Laboratory di Berkeley».
Nicola condivideva la tua passione per la letteratrura americana.
«Sì, eravamo accaniti lettori, e non solo di letteratura anglofona. In quegli anni la cultura americana viveva un momento alto sia di rivisitazione dei classici ottocenteschi, penso a Melville e Poe, che dei contemporanei, come Faulkner, Barth, Brautigan e tutte le voci della controcultura. La California, New York, il New Mexico, sono stati per noi contemporaneamente luoghi di residenza e lavoro, e mete di un pellegrinaggio sull´onda delle pagine lette insieme. A Wall Street riecheggiava Bartleby, che rincontrammo in un film d´essai a Parigi, a Long Island ci accompagnava il Grande Gatsby, a San Francisco ci introducevano Ginzberg e Kerouac, a Parigi i nostri passi intrecciarono quelli di Hemingway e Gertrude Stein…»
Nicola "il silenzioso" si appassionava ad ogni tipo di hobby.
«Silenzioso ma anche paradossalmente innamorato delle parole e della loro storia. L´oggetto che teneva più caro, insieme alla sua Nikon, era un gigantesco dizionario Webster ormai consunto che consultava almeno un paio di volte al giorno. Quanto agli hobbies, li definirei piuttosto campi di scienza applicata, oltre che di gioco. Nicola era sempre intento a qualcosa: dalla costruzione d´una barca alla scartavetratura d´una lente da telescopio, dal montaggio di complessi origami a quello di un domestico, primordiale calcolatore, embrione del futuro Ape, la macchina da cento miliardi di operazioni al secondo. Era un fantastico fotografo, passione condivisa con nostro figlio Andrea. Nei suoi ultimi mesi ha lavorato alla fotografia con grande intensità, avendo messo a punto un software particolare che gli permetteva di evidenziare nuove forme e colori di grande armonia e bellezza partendo dall´ingrandimento progressivo di parti infinitamente piccole di una fotografia. Lo stesso aspetto ludico, lo ricorda il suo collega Giorgio Parisi, animava anche la sua attività di ricerca: "Perché dovremmo studiare questo problema se non ci divertiamo a farlo?", diceva».
Mi vuoi dire qualcosa delle reazioni di Nicola alla sua famigerata esclusione dal Nobel 2008?
«Me lo annunciò, quella mattina, serio. "Lo hanno dato ai due giapponesi ma non a me". Senza commento, né allora né mai, seguendo quel suo stile anglosassone del "never complain, never explain". Se delusione ci fu, fu compensata dall´incredibile ondata di affetto generale che lo ha sommerso dopo la notizia, come e forse più che se quel premio lo avesse ricevuto. Perfino in quell´occasione non mancò di reagire con il consueto sense of humour come testimoniano le foto – che scattò dal balcone – della troupe televisiva di Staffelli accalcata sotto casa nel tentativo di consegnargli il tapiro d´oro».
Che cosa ti manca di Nicola?
«Nello, richiedimelo fra un anno. Adesso ti rispondo che sto reagendo con quello che Joan Didion chiama "il pensiero magico". Può meravigliare il fatto che io abbia accennato, nel necrologio sui giornali, alla sua morte "prematura". Non sembrerebbe un aggettivo pertinente al decesso di un settantacinquenne. Ma Nicola era un entusiasta della vita. Con gli stessi gusti, interessi, curiosità, progetti di quando l´ho conosciuto, e mai partecipe ai cori quotidiani sui mali del presente».
Per quasi vent´anni, Nicola ha presieduto la Pontificia Accademia delle Scienze. A molti è sembrato strano che uno studioso come lui si collegasse a un´istituzione ispirata da una Chiesa che si suppone non particolarmente sensibile alla libertà della ricerca.
«L´Accademia, organo consultivo del Pontefice, riunisce le massime eccellenze mondiali in ambito scientifico, al di là del loro credo religioso e politico. Tra le sue finalità, c´è l´attenzione alle grandi tematiche etiche e sociali: l´uso delle fonti d´energia, lo sviluppo sostenibile, la biodiversità, gli ogm, le questioni di fine vita. Su questo, Nicola voleva dare e ha potuto dare il suo contributo. Per quanto riguarda il tanto dibattuto nodo scienza-religione, neppure concepiva che la religione potesse negare le verità della scienza e il loro continuo divenire: "La nave di Bruno e di Galileo non smette mai di solcare l´immenso mare della conoscenza". Parole di Nicola con cui, opportunamente, Giulio Giorello ha scelto di rievocarlo».