Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  novembre 11 Giovedì calendario

DIVISIONE (IMPARI) DEI LAVORI A CASA. IL 76,2% SULLE SPALLE DELLA DONNA, L’UOMO HA AGGIUNTO SOLO 9 MINUTI —

Non stira. Non lava. Quando ha voglia si «sacrifica» e fa giardinaggio. O cucina. O gioca con i bambini. Certo, da qualche anno si impegna un po’ di più, aggiungendo ben nove minuti giornalieri (rispetto al 2003) al pacchetto di impegni «domestico-familiari». Il maschio italiano e il suo ritratto più impietoso, quello che lo vede nella veste «casalinga», sostegno della compagna nei compiti domestici e nella cura dei figli o dei genitori anziani. Con le dovute eccezioni, la sintesi è questa: nella coppia, il 76,2 per cento del lavoro familiare è a carico delle donne. E le cose, negli anni, non sono migliorate di molto: il valore è poco più basso rispetto a quello del 2003 (77,6%). Lo dice l’indagine Istat sulla «Divisione dei ruoli nelle coppie», aggiornata al 2008-2009 e presentata ieri durante la Conferenza di Milano sulla famiglia. «Questo modello — spiega Enrico Giovannini, presidente dell’Istituto nazionale di statistica — non è più sostenibile: la donna è "schiacciata" e non ce la fa più».
L’indagine
La ricerca dell’Istat è stata condotta dal febbraio 2008 al gennaio del 2009 su un campione di 18.250 famiglie e 40.944 individui che hanno descritto in un diario le loro attività quotidiane. Un lavoro gigantesco, che arriva a vent’ a nni dal l a prima rilevazione (1988-1989) e a sei dalla seconda (2002-2003). E che torna a raccontare la «forte disuguaglianza di genere nella divisione del carico di lavoro familiare tra i partner».
In sostanza, quasi tutto il peso della famiglia è sulle spalle delle donne. Tutte, indiscriminatamente. Solo nell’Italia settentrionale (e per alcune categorie specifiche) i livelli di «fatica femminile» sono più bassi: scendono sotto il 70 per cento nel caso di coppie del Nord senza figli e con la partner lavoratrice e laureata (67,6%).
Questione di minuti
Ventiquattro ore sono poche. Bisogna lavorare, dedicare energie ai figli, ai genitori anziani, organizzare spostamenti. Ecco allora che tra le donne «occupate» diminuisce il tempo libero, ma anche quello dedicato alle incombenze della famiglia. In media, quindici minuti al giorno in meno rispetto al 2003. Con le mamme lavoratrici che passano da 5 ore e 23 minuti a 5 ore e 9 minuti. Stabile l’impegno degli uomini: 1 ora e 43 minuti. Solo in presenza di figli e di una partner occupata, si registra un incremento di 9 minuti (da 1 ora e 55 minuti a 2 ore e 4 minuti). Detto così, sembra che la donna alleggerisca il suo fardello per cederne un po’ al partner. No, meglio non farsi illusioni: «I livelli di lavoro familiare decrescono — spiega Linda Laura Sabbadini — direttore centrale dell’Istat — perché le donne hanno "tagliato" proprio su quella voce. Il coinvolgimento degli uomini non c’è stato».
La somma dei lavori
Nessuna esclusa: il 98,9 per cento delle donne con partner svolge ogni giorno un’attività legata alla famiglia. Il 24,1 per cento degli uomini non vi dedica neanche dieci minuti. Se poi si sommano lavoro a casa e lavoro d’ufficio, ecco il quadro: l’impegno complessivo della donna è di 9 ore e 10 minuti al giorno contro le 8 ore e 10 minuti dell’uomo. In presenza di figli il divario cresce: 9 ore e 28 minuti per le madri e 8 ore e 17 minuti per i padri (peggio al Sud: 9 e 55 contro 7 e 57). E come se non bastasse, l’uomo sceglie. «I maschi — aggiunge Linda Sabbadini — selezionano le attività: giocano con i figli, curano fiori, auto e animali, fanno la spesa. Ma non stirano (meno dell’1 per cento si cimenta con il ferro) nè puliscono». Il risultato: «Il lavoro di cura continua a gravare fondamentalmente sulle donne, soprattutto le lavoratrici». Conclude Giovannini: «Il sovraccarico di lavoro femminile incide sulle nascite: nel nostro Paese non c’è un clima favorevole alla maternità».
Gli uomini
Non tutti tornano a casa e si mettono in pantofole. I maschi più giovani, quelli laureati e con un reddito medio alto, in genere contribuiscono di più al lavoro familiare. «Ma — replicano dall’Istat — i numeri non cambiano». Paola Profeta, docente alla Bocconi specializzata negli studi sull’economia di genere, aggiunge: «Il quadro fornito dall’Istat non è il frutto delle preferenze nella gestione dei compiti. Il modello di riferimento è quello della casalinga. E allora, oltre che di conciliazione dei tempi, sarebbe necessario parlare di condivisione dei ruoli». Ma come convincere l’uomo a fare questo salto culturale? «Per esempio introducendo il congedo di paternità obbligatorio (ne ha parlato ieri anche Barbara Saltamartini, responsabile per le Pari opportunità del Pdl, ndr.) ».
Qualche segnale di ottimismo arriva dalle nuove generazioni, soprattutto dalle coppie in cui le partner sono più istruite. «La speranza è sempre nelle donne», conclude Paola Profeta. Anche la psicoterapeuta Elena Rosci (autrice di «Mamme acrobate») dimostra un certo ottimismo: «Forse il cambiamento arriva da quei giovani che spesso non formano una famiglia perché non hanno un lavoro stabile. Parlo di maschi tra 25 e 35 anni. È vero, alcuni sono i classici mammoni, ma ci sono anche quelli autonomi e più attivi nel menage di coppia. E se non si prendono cura degli anziani e dei malati, almeno sono autosufficienti, sanno cavarsela, lavano e stirano. Sembra poco. Ma di questi tempi è già un risultato».
Annachiara Sacchi