Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 11/11/2010, 11 novembre 2010
DUE IPOTESI: DIMISSIONI PER IL BIS O SFIDA APERTA IN PARLAMENTO
Anche il presidente della Repubblica fotografa «il momento di grande turbolenza e incertezza politica». È l’annuncio pubblico di una crisi imminente, nei fatti già aperta. Una crisi dall’esito ancora insondabile, salvo per un punto che Napolitano sottilinea: «Chiunque sarà chiamato a governare ancora, o a governare nuovamente, dovrà affrontare le problematiche concrete del paese». Frase un po’ criptica, ma nemmeno tanto. C’è il richiamo ai problemi concreti, in sintonia con le inquietudini del mondo produttivo. C’è implicito l’invito a non perdere tempo: a chi giova questo lento affondare nelle sabbie mobili? Certo non al paese.
Tra le righe il capo dello Stato dice altro. «Chi sarà chiamato a governare ancora...»: il riferimento sembra a Silvio Berlusconi. Si potrebbe interpretare così: se il presidente del Consiglio accelerasse il chiarimento e presentasse le dimissioni, il passo più logico sarebbe offrirgli un nuovo incarico. Spetterebbe poi a lui ridefinire l’alleanza di centrodestra accogliendo, se possibile, le richieste dei partner. Di uno in particolare, Gianfranco Fini. Se l’accordo si rivelasse impraticabile, il Quirinale affronterà il problema. Con due sbocchi: un altro incarico a un personaggio "X" oppure lo scioglimento delle Camere (a quel punto assai probabile).
Le parole del presidente sono piuttosto esplicite, ma non sono le uniche della giornata. Il più stretto e fidato collaboratore del premier, il sottosegretario Gianni Letta, ossia il simbolo stesso della riservatezza, ha ammesso con espressioni non troppo diverse da quelle usate da Napolitano che il governo è ormai privo di prospettive (nel suo linguaggio eufemistico: «le prospettive si restringono»).
Perché proprio ieri? La ragione è che si è creata un’attesa eccessiva intorno all’incontro di oggi tra Fini e Bossi. Si è accreditata l’idea di una «mediazione» leghista che in realtà Berlusconi non gradisce affatto, a meno che non si tratti di colloqui volti a spianare la strada al «pacchetto» del federalismo che attende d’essere approvato prima di Natale. Quanto al resto (equilibri di governo, crisi, eccetera) è ovvio che Berlusconi non è favorevole ad alcuna iniziativa che non passi dalla sua scrivania o da quella di Letta.
Dunque la questione non riguarda più l’eventualità di una crisi, ormai certa, bensì chi la gestisce e come. Ferma restando la richiesta di dimissioni da parte di Fini, ci sono due ipotesi. Una è quella adombrata dal ministro Calderoli: si prendono in esame le richieste del presidente della Camera (alcune ricevibili, altre no), si cerca la strada del buonsenso fidando nell’equilibrio del Quirinale. Uno scenario in cui il ruolo della Lega è centrale e che non esclude, anzi incoraggia, una breve crisi destinata a restituire lo scettro a Berlusconi. Purché, s’intende, Fini mitighi la sua intransigenza.
L’altra ipotesi è che sia lo stesso premier a prendere l’iniziativa del chiarimento. Senza dimissioni preventive, ma giocando a viso aperto la partita più difficile della sua vita. Il che vuol dire presentarsi in Parlamento e sfidare i suoi avversari. Magari con l’astuzia di andare prima al Senato, dove la maggioranza è più salda, per cui egli potrebbe uscirne persino rafforzato. La successiva sconfitta alla Camera (a opera dei finiani) gli darebbe buone carte per affrontare la campagna elettorale da posizioni di relativa forza. Ma per tutto ciò è necessario poter contare sulla piena lealtà e sull’allineamento della Lega. Vedremo oggi.