ALBERTO MATTIOLI, La Stampa 10/11/2010, pagina 37, 10 novembre 2010
“Madama Butterfly, caso di turismo sessuale” - Gli abbonati sono preoccupatissimi. Il teatro è piccolo, la gente mormora e dalle segrete stanze del Regio trapela che la nuova Madama Butterfly non sarà ambientata nel solito Giappone da servizio da thé con i kimono e i ventagli, tanto per citare anche l’altro Puccini di regola umiliato dall’estetica delle figurine Liebig, quello di Turandot
“Madama Butterfly, caso di turismo sessuale” - Gli abbonati sono preoccupatissimi. Il teatro è piccolo, la gente mormora e dalle segrete stanze del Regio trapela che la nuova Madama Butterfly non sarà ambientata nel solito Giappone da servizio da thé con i kimono e i ventagli, tanto per citare anche l’altro Puccini di regola umiliato dall’estetica delle figurine Liebig, quello di Turandot. Stavolta Butterfly sarà fatta per quel che è: un caso di turismo sessuale. Dunque, si vedrà il Giappone di oggi, una selva di cartelloni pubblicitari che sovrasta il cubo di plexiglas dove Cio-cio-san aspetta il ritorno dell’occidentale ricco che secondo lei l’ha sposata e che invece l’ha comprata. Nel finale Pinkerton tornerà non su una nave bianca ma su una bianca fuoriserie (il prototipo «Structura» griffato Giugiaro, neosponsor del Regio), accompagnato dalla moglie vera che, finalmente, non sarà la solita figuretta compassionevole ma un’autentica stronza che non si fa nessun problema a portarsi via il figlio dell’Altra. Anzi, «così la signora Kate potrà raccontare alle amiche di averlo salvato dalla miseria di quel piccolo Paese asiatico, in cui sarebbe morto di fame». Parola di Damiano Michieletto, veneto di Scorzé, a 35 anni, consacrato da una mitica Gazza ladra, enfant prodige della regia d’opera, uno dei rarissimi registi italiani la cui attività non finisca a Chiasso. Di quelli che i cretini chiamano provocatori. «Provocatore, ma perché?» Appunto. Perché? «Guardi che io faccio la storia di Butterfly esattamente come la racconta Puccini. C’è tutto. La trama è quella, i personaggi idem, l’Oriente anche. Solo è l’Oriente di oggi, perché vorrei fare Butterfly per il pubblico di oggi. È il paradosso dell’opera». Quale? «Che l’opera racconta storie estreme, durissime. Storie di gente che ama alla follia ed è disposta, per questo, anche a morire. Però se queste storie le fai vedere, zac!, sei un provocatore». Perché in Italia all’opera la contemporaneità fa paura? Perché non si può vedere a teatro quel che si vede ogni giorno in tivù o al cinema? «Perché l’opera viene vista come qualcosa di consolatorio. Vado a teatro a rivedere ciò che ho sempre visto, come il bambino che vuole riascoltare per l’ennesima volta la storia di Cappuccetto rosso. Dà sicurezza. Ma il pubblico non è fatto di bambini e il teatro non deve rassicurare. Del resto, perché ogni tot anni un teatro commissiona una nuova Butterfly?». Già, perché? Si potrebbero replicare all’infinito i bozzetti della prima assoluta, «quelli che voleva Puccini». «Ma io non voglio cambiare tanto per cambiare. Voglio cambiare per restituire questa storia dura e scandalosa che è Butterfly al pubblico del 2010, che non è quello di cento né di cinquant’anni fa». Perché i registi italiani, a parte lei e pochi altri, all’estero non esistono? «Perché ci sentiamo depositari di una tradizione e facciamo fatica a rinnovarla. Del resto, anche in Inghilterra i primi a innovare la messinscena di Shakespeare non furono inglesi».