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 2010  ottobre 31 Domenica calendario

IL TRUCCO? FARE LA SPESA OGNI GIORNO

«Il Patron arriva subito». Jacques, il capo maitre, scompare dietro una porta a vetri. All’Auberge du Pont de Collonges il primo odore c hetivie ne i ncontro è quello dell’aceto di vino. Forte. E poi ci sono loro, le foto in bianco e nero seminate su tutte le pareti come quadri astratti. Un film di personaggi sepolti nella memoria: Fernandel, Jean Gabin, De Gaulle... Tutti a tavola, ovviamente. Felici.
Ed è solo quando arriva un bicchierino di kir al beaujolais che il Patron, come qui tutti lo chiamano con affetto, compare. Paul Bocuse esce dalla porta della sua cucina vestito di tutto punto, e con l’immancabile cappello da cuoco — altissimo — ben calzato sulla testa. È uno dei più grandi chef del XX secolo, ma quando si siede a tavola chiede a bruciapelo: «Buono questo kir?». Se ne preoccuperà per tutta la conversazione: che i suoi piatti siano davvero gustosi. È fatto così questo signore di 85 anni dagli occhi cerulei, che a otto anni aiutava la mamma nella cucina dell’Hotel du Pont di Collonges, e dopo circa sei già spentolava da solo tra i fornelli sognando il suo ristorante. Una dinastia di cuochi, i Bocuse, sempre alle porte di Lione dal 1765, a Collonges au-Mont-d’Or. Il padre, Georges, è stato chef nei più famosi hotel d’Europa. Gavetta lunga anche per Paul: nel ’42, con l’Occupazione, va a lavorare al mercato «per trovare anche qualcosa da mangiare». Militare ferito in Alsazia, comincia a lavorare in molti hotel della regione, per un biennio (alla fine della guerra) con Fernand Point, considerato allora il più grande chef vivente, il maestro dell’entre-deux guerres degli anni 50, con il suo ristorante La Pyramide di Vienne (a sud di Lione) e le sue quenelles di luccio e pollo. Passa poi al Lucas-Carton, dove conosce un altro big della cucina, Jean Troisgros. Lì resta fino al ’54, quando il fratello lo richiama a casa per lavorare assieme. Aprono il ristorante di famiglia: buoni piatti ma posate inox e tovaglie di carta. Dopo sei anni la prima stella Michelin. È un crescendo. Un anno ed è insignito come «Meilleur Ouvrier de France» ed arriva la seconda stella. Nel ’65 la terza.
Nel 1973 viene scoperto da Gault e Millau, i due giornalisti gastronomici «mito» degli anni 70: per loro è lui l’inventore della Nouvelle Cuisine. Di quel New Deal gastronomico che in pochi anni colpisce la Francia: una rivoluzione che parte dalle province verso la capitale. La cucina alberghiera aveva fatto il suo tempo. La nouvelle cuisine era l’esatto contrario: cotture brevi che impressionavano i clienti come la carne rosata dei pesci intorno alle lische. La freschezza e l’attualità fatta in cucina. Bocuse sorride ancora, a sentire queste interpretazioni, e si schermisce: «Io cucino e basta, non ho mai compreso certi ragionamenti. Dopo la guerra la gente aveva troppa fame e forse per questo sono diventato famoso». Tuttora non si considera, per il suo prosciutto al fieno o l’insalata di fagiolini verdi, uno chef rural-chic. Nel ’76 pubblica la sua «bibbia» gastronomica, La cucina del mercato. Circa 250 mila copie in Francia, in Italia esaurita dal ’95, oggi per la prima volta viene ripubblicata da Guido Tommasi Editore (dal 2 novembre nelle librerie). Lo slogan è semplice: «Andate tutte le mattine al mercato. È sulla freschezza dei prodotti che si gioca la qualità della vostra cucina». A molti appare un’operazione di politica gastronomica dopo la morte di De Gaulle e Pompidou, proprio quando Giscard d’Estaing cerca di modernizzare la nazione. Il mercato evocava l’economia di giornata, la semplicità senza un taglio netto col passato. E Bocuse ne sembrò il braccio armato. Anche se quest’ultimo oggi esclude lapidario che la politica sia mai entrata nei suoi piatti: «Me ne frego. Ho una sola politica: la buona cucina». Giscard d’Estaing monsieur Paul lo ha conosciuto bene: «Un gran gourmand. Uomo di enorme cultura. Conosceva tutti i prodotti. Adorava i miei piatti coi piselli, quelli della prima raccolta».
Quando nel ’ 75 per i suoi meriti culinari riceve la Légion d’honneur da Giscard d’Estaing, lo stesso presidente chiede di organizzare una cena all’Eliseo per festeggiare la nomina e celebrare la nouvelle cuisine. Bocuse cucinerà per lui e la moglie assieme ad altri due famosi chef dell’epoca, Michel Guerard e Roger Vergè: una cena entrata nella storia. Il suo piatto, la Zuppa di tartufi, oramai è leggenda. Tuttora lo si può assaggiare nel menu tradizione. E, infatti, puntuale arriva a tavola nella sua cocotte di porcellana bianca con la scritta Elysee ’75: «Assaggiatelo, si mangia caldo», suggerisce ansioso. Di De Gaulle, altro suo cliente, Bocuse ricorda che «mangiava velocissimo. E voleva piatti semplici e identificabili, con lische e ossi, tipo la cassoulet ». Stelle e stelline sono passate numerose nel suo ristorante. Ad esempio Brigitte Bardot: «Fantastica: mangiava di tutto e se ne fregava della linea. Come Sofia Loren». Il suo segreto? Bocuse fa spallucce: «Prodotti freschi, infatti coltiviamo tutto nel nostro orto. E ottimi collaboratori. Qui pigliamo i migliori cuochi di Francia». Oggi, però, ammette, come invece consiglia alle massaie, di non andare ogni mattina al mercato: «Preferisco leggere un bel libro di storia. Dal passato imparo un sacco di cose. Ma cucino ancora: lo trovo un ottimo passatempo». Che cosa le piace mangiare? «I piatti di famiglia. Il minestrone, per esempio, come lo fa una formidabile italiana, Nadia Santini. Sono stato tantissime volte da loro. È una chef fuori dal comune».
Tra i suoi aficionados ricorda con entusiasmo lo scrittore Mario Soldati: «Formidabile. Era un fantastico gastronomo». Sarkozy: «Sì mi è venuto a trovare e credo abbia mangiato bene. Carla Bruni? No, non era con lui. Ma la considero una donna super intelligente che apprezzerebbe i miei piatti». Ancora, i « grand gourmand » Chirac e Mitterrand: «Mangiavano di tutto e di gusto. Anche loro piatti semplici». Se la ride, Bocuse. Come uno che infatti ammette placido: «Nella mia vita ho fatto quello che avevo voglia di fare». Con fama di essere un gran tombeur de femmes... «Diciamo che me la son sempre cavata. Mai avuto meno di tre donne contemporaneamente. Faccio quello che posso. Adesso, certo, ho 85 anni e sono un po’ più calmo... Ma conosco tanti trucchi per conquistarle...». Oggi Paul Bocuse è un’icona francese. E anche Lione è Bocuse-dipendente: il mercato porta il suo nome; c’è una scuola di cucina col suo nome; una competizione gastronomica mondiale col suo nome, il Bocuse d’Or; quattro brasseries a lui collegate... Non è casuale che il suo ristorante sia disseminato di caricature, statue, oggetti kitsch che lo rappresentano come un personaggio dei fumetti, proprio perché entrato nell’immaginario di tutti. Ma è anche un brand: di recente ha deciso di aprirsi all’esterno, facendo entrare nella società, come partner minoritario, la banca Natixis.
Dei nuovi chef promuove Alain Ducasse, Daniel Boulou, Santi Santamaria, ma dice di «non conoscere Gordon Ramsay». Considera però Ferran Adrià «un’altra roba. Fa cose diverse... che tutti imitano. Diciamo che è stato bravo e se l’è cavata bene. Insomma, parliamoci chiaro: è sempre pieno visto che fa 150 coperti l’anno. In tutto ha 40 piatti... Io ne ho 120 al giorno, di coperti. Se devo essere sincero riesco a mangiare da lui una volta ogni tanto. Preferisco altri giovani, come Boulou o Santi Santamaria. Ecco: meglio tre volte a Can Fabes che una a El Bulli ». Arriva uno dei suoi sous-chef, Francesco Santin, friulano. Bocuse deve partire a minuti per uno dei tanti viaggi che lo portano spesso anche in Oriente, «come cucinano lì le verdure...». Santin sorride: «Il Patron è così, entusiasta di tutto. E generosissimo. Vuole regole ferree, però, e silenzio in cucina. E noi ubbidiamo. È uno degli ultimi a lavorare il prodotto non trasformato: con lui una mela resta una mela».
Sarà Santin più tardi a mostrare, nel ristorante per ricevimenti che è a pochi metri dall’Auberge, il mondo segreto di Bocuse. Lì, oltre ai cimeli di una vita, lo chef ha fatto ricostruire la cucina della nonna esattamente com’era. E nella sala banchetti fa bella mostra di sé il Limonaire «Gaudì»: oggi attrazione dei matrimoni, è un organo del 1900 che durante la seconda guerra mondiale fu murato per sottrarlo a tedeschi, e che quando Bocuse tornò a casa recuperò e portò lì. Per ricordare la sua infanzia dalla quale non si è mai allontanato troppo. Dorme ancora oggi nella sua stanza da bambino.
Angela Frenda