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 2010  novembre 10 Mercoledì calendario

IL BANCHIERE TOEPLITZ FRA IL DECOLLO E LA CRISI

Bernardino Nogara, di cui lei ha parlato recentemente sul Corriere, era grande amico di famiglia di mio nonno Ludovico Toeplitz — fratello di Giuseppe — uno dei due Toeplitz della Banca commerciale. Era ancora viva, quando ero ragazzo, la familiarità con il «governatore della Città del Vaticano» di mio padre Giuseppe, presidente della Dalmine e come tale collega di Franco Ratti, vicepresidente e nipote di Pio XI. Ricordo che durante l’occupazione tedesca della Polonia, Nogara vi svolse alcune missioni riservate nel 1941 e 1942. So che dopo avere rivisto a Losanna mio nonno (vi era rifugiato nella sua qualità di consigliere onorario dell’ambasciata di Polonia a Roma) incontrò a Varsavia componenti della famiglia che vivevano nascosti e soprattutto riuscì a entrare clandestinamente nel ghetto, guardato a vista dalla Gestapo e dalle SS.
Luciano Scavia
lucianoscavia@libero.it
Caro Scavia, la sua lettera merita di essere completata con qualche informazione su quella che fu per molti anni una delle principali dinastie finanziarie italiane. La storia comincia nel 1894, quando Francesco Crispi chiede alla Germania di contribuire al decollo industriale dell’Italia e ottiene che capitali tedeschi concorrano alla nascita della Banca Commerciale Italiana. Al vertice dell’istituto appena costituito i soci vogliono due ebrei tedesco-polacchi, Otto Joel e Federico Weil, che saranno per vent’anni, fino alla Grande guerra, protagonisti delle maggiori iniziative economiche di quel periodo, dalla elettrificazione del Paese all’espansione dell’industria siderurgica. Ma vi è anche una terza persona, molto più giovane, che aspetta il suo turno. Si chiama Giuseppe Toeplitz, è nato a Varsavia nel 1866, è un cugino acquisito di Weil. A Napoli e a Venezia, dove dirige le filiali della Comit (come la banca verrà chiamata sino alle fusioni degli ultimi anni) il giovane Toeplitz incontra Giuseppe Volpi, ne diventa buon amico e lo aiuta a lanciare un ambizioso progetto balcanico.
Alla vigilia della Grande guerra, la Banca commerciale è uno dei maggiori istituti di credito della penisola e un utile ponte tra la finanza tedesca e l’industria italiana. Ma questo ruolo, svolto con grande abilità e competenza, la espone alle polemiche degli ambienti nazionalisti contro la «conquista germanica» della economia italiana. Il più virulento animatore di queste polemiche è Giovanni Preziosi, un prete che ha lasciato il sacerdozio e diverrà dopo la guerra una sorta di crociato antisemita, continuamente sul piede di guerra contro i «savi di Sion» e la finanza ebraica. Le accuse di Preziosi sono infondate, ma l’infuocata atmosfera interventista del 1914 suggerisce alla Comit un cambio al vertice. Mentre Joel e Weil lasciano l’istituto, la poltrona dell’amministratore delegato passa a Giuseppe Toeplitz, cittadino italiano da molti anni. E la Comit, sotto la sua direzione, continua a essere uno dei protagonisti dell’economia nazionale.
La sua filosofia aziendale, come quella di altri istituti dell’epoca, è quella delle banche miste tedesche. La Comit fa un eccellente lavoro «di sportello» raccogliendo risparmi e finanziando con i suoi prestiti l e operazioni i ndustriali e commerciali. Ma interviene altresì nelle grandi iniziative diventando spesso azionista delle imprese che ha contribuito a creare. È questa la ragione per cui il crac di Wall Street, quando arriva in Europa all’inizio degli anni Trenta, colpisce al tempo stesso le industrie e la banche. Toeplitz cercherà di salvare la «banca mista», ma Mussolini accetterà il piano di Alberto Beneduce e Raffaele Mattioli per la creazione dell’Iri e la separazione delle due attività bancarie. Finisce il regno di Toeplitz, comincia quello di Mattioli.
Sergio Romano