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 2010  novembre 10 Mercoledì calendario

COME MAI NESSUNO PROVA A ENTRARE NELLE PRATERIE DEL CAVALIERE?

L’urlo da stadio che, alla convention di Bastia Umbra, ha accolto il licenziamento in tronco del Cavaliere da parte di Gianfranco Fini, è sembrato simile al rito selvaggio del parricidio. Non che nel discorso del leader futurista fossero mancati i temi corposi e la logica razionale della politica, ma Fini è apparso non di meno intenzionato a cavalcare gli umori iconoclasti del suo popolo. Con la conseguenza che ulteriori truppe si sono aggiunte non tanto — o non soltanto — all’opposizione parlamentare, quanto piuttosto al fronte dell’antiberlusconismo. Il problema è che quel fronte appariva, già prima dell’ingresso dei finiani, particolarmente affollato. Dalla sinistra comunista ai socialdemocratici del Pd e al prudente Casini, non esiste forza politica di opposizione che, nel corso di oltre quindici anni di radicalizzazione dello scontro politico, non sia stata risucchiata dall’incendiaria strategia ad personam di Antonio Di Pietro. È in questo recinto ideologico che oggi irrompono gli uomini di Futuro e libertà e il meno che si possa dire è che, sul piano della guerra al tiranno, troveranno molti e agguerriti competitori. Ma quel che appare ancor più sorprendente è che nessuno, compreso il sobrio leader dei democratici, sembra intenzionato a fare campagna acquisti non già nel territorio ingolfato dell’antiberlusconismo, ma nelle praterie del berlusconismo. Ovvero in quelle aree di opinione che, comprensibilmente, reagiscono alle bordate contro il proprio leader rinserrando le file e scivolando nella sindrome identitaria dell’assedio. Sono pochi e timidi i tentativi di entrare in contatto politico e, prima ancora, emotivo con il vasto elettorato del premier, superando il consueto modello della demonizzazione e cercando così di oltrepassare steccati altrimenti chiusi a doppia mandata. E non è un caso che quei tentativi provengano da leader atipici come Matteo Renzi o lo stesso Nichi Vendola, i quali si sforzano di riempire con nuovi contenuti la loro proposta politica e, al tempo stesso, appaiono propensi a ridimensionare il chiodo fisso del Grande Malato. Eppure, diversamente da quanto credono le opposizioni, è la stessa traiettoria declinante del premier carismatico a mettere al centro della politica il doppio problema di un berlusconismo tuttora solido, con cui fare finalmente i conti, e di un antiberlusconismo che appare invece agli sgoccioli. Logica vuole che l’uscita di scena del Cavaliere (quando accadrà) metterà in palio il ricco premio costituito dai suoi molti sostenitori, togliendo simmetricamente ogni ragion d’essere alle centurie della guerra totale. Dunque sarà decisivo avere nel frattempo costruito un qualche canale di comunicazione con quel popolo tenace, con le sue ragioni profonde, i suoi valori, la sua cultura, perfino la sua psiche. La sostituzione di un sistema di consenso di massa e di una leadership forte è sempre stata fenomeno tra i più complessi, che richiede particolare intelligenza politica. All’indomani della caduta di Mussolini, i partiti democratici dovettero porsi il problema di un’opinione pubblica che, pur attraverso l’esperienza terribile della guerra, si era lungamente identificata con il regime e con il suo capo. Tra i meriti della Dc di De Gasperi e del Pci di Togliatti, vi fu la consapevolezza che la nuova Italia antifascista avrebbe dovuto farsi carico di quel che restava — e non era poco — dell’Italia fascista. Mezzo secolo più tardi, sarà proprio Silvio Berlusconi a recuperare pezzi consistenti di un’opinione pubblica che si era identificata con i partiti della Prima Repubblica e che, dopo il trauma di Mani Pulite, appariva disorientata, intimidita, rancorosa. Alla sua corte, com’è noto, sarebbero arrivati molti craxiani e democristiani. Non soltanto esponenti politici, ma gente comune, elettori. Nel clima di guerra civile che talvolta si respira nel Paese, simili strategie possono apparire camaleontesche o trasformistiche. Ma così non è. La politica ha il dovere di capire i fenomeni popolari che coinvolgono le comunità. Fabbriche del fango e ghigliottine non convengono a nessuno, se non a chi ne fa un mestiere, e questo, naturalmente, non è il caso dei grandi partiti.
Paolo Macry