Varie, 10 novembre 2010
SOLARDI Giuseppe
SOLARDI Giuseppe 1936. Poeta • «L’appartatezza è una delle doti più rare dei poeti, i quali, cenerentole della cultura, spesso sgomitano per conquistarsi un posticino al solicello tiepido che quest’arte offre a pochi, dei milioni che la praticano. E chi mai potrebbe definirsi più appartato del friulano Giuseppe Solardi, che esordisce con il suo primo libro a 70 anni suonati? “Pellegrino della sua poesia”, come l’ha definito Mario Luzi, Solardi si è formato intellettualmente a Firenze e a Roma, e ha avuto come primi lettori critici e letterati del calibro di Emilio Cecchi e Piero Bargellini, rimasti colpiti, come ha scritto Silvio Ramat, “dalla comunicativa rudezza” dei suoi versi. Altri lettori di vaglia, come Betocchi, Luzi, Pampaloni, e poi Montale, Bassani, Bacchelli, Bo e Raboni, gli hanno espresso nel tempo stima e apprezzamento. Ma nonostante tanti e così illustri paladini (tra i più attivi non va dimenticato Giancarlo Vigorelli), nessun editore ha voluto prestare a questo poeta solitario e isolato una minima parte dell’attenzione concessa a molti altri che assai meno di lui l’hanno meritata. [...] Estraneo alle scuole e alle mode novecentesche, Solardi si caratterizza [...] per la forte moralità che impronta tutta la sua poesia. La quale per lui non è un semplice flusso di parole, “una tessitura di segni o di verbali armonie”, ma quello che noi chiamiamo messaggio: «almeno per qualcuno/ che mentre va per la sua strada,/ si orienta unicamente confidando/ nelle solitarie idee/ baluginanti nella sua mente”. Alla poesia, ci dice Solardi, i suoi nemici e qualche fedele “hanno impresso segni di corde e di spine:/ con la forza del gigante sulla fanciulla/ le hanno piegato la testa a strisciare/ le labbra sulla polvere, del nulla”, in attesa “che passi ancora un buon Samaritano”. [...]» (Nicola Crocetti, “Il Giornale” 4/5/2009) • «Dire l’appartenenza di Giuseppe Solardi [...] alla poesia italiana contemporanea, significa curare di tenerlo avulso da tutti i modi, i mondi e i motivi già visti, letti e sentiti dell’intero Novecento. Ciò non tanto rende difficile definire la sua personale marca creativa, dovendo prescindere da tutto e da tutti, quanto obbliga invece a leggerlo come un “unico” esemplare di sensibilità, intelligenza, cultura, eticità. [...] Sia pur sempre letta come frutto isolato di isolata esistenza, la poesia di Solardi è comunque collocata su una linea che da remote e liriche verità cristiane di un Hölderlin (ad esempio), giunge a più attuali e nodosi dettati etico morali (Rebora, soprattutto), in aperta contestazione “...di un evo come questo,/ e del suo tirannico dio/ della menzogna e del denaro”. Solardi vede vivere e morire un secolo con i suoi giganti, i suoi dei, i suoi bagliori e le sue cecità. Vede il tempo e il mondo (anni e anni di progressiva barbarie) e però ne auspica la salvezza, la grazia. “Dopo tante epoche tu sorgi/ con il tuo occhio lucido,/ con i tuoi contorti tormenti/ e con il visibile cipiglio/ estraniandoti alla divinità/ e al suo più conosciuto figlio:/ gli stai innanzi con una/ sfida che gli si oppone/ per ridurlo al silenzio/ e mortificarne la redenzione”. Di fronte al Gran Dio che non erra né mente, Solardi sogna un’era che non faccia paura, meno tronfia e meno ipocrita, più seria e orgogliosa di sé (“con poesie e meno petrolio”). Quanto a lui, la sua poesia egli la oppone ai “sacerdoti del moderno/ potere e sapere”, anche se sa di perdere, dentro a un lacerato commento all’umanità, a una lunga riflessione sul presente, e infine, al bilancio aggiornato di una ferita destinata a rimanergli aperta tutta la vita» (Claudio Toscani, “Avvenire” 18/4/2009).